testimonianze + 2012 giugno 21, Roma - convegno "terre nuove , cieli nuovi: il messaggio di Giulio Girardi"
Giulio Girardi, compagno di strada, educatore e teorico dell’educativa dell’amicizia liberatrice
di Gérard Lutte
Compañeras y compañeros,
grazie per la vostra presenza a questa festa della memoria di Giulio Girardi, che per molti di voi è stato compagno di strada con il quale si condividevano sogni, ideali, lotte, conquiste e anche sconfitte.
La parola “compagna” o “compagno” è densa di significati, di storia, di emozioni. Evoca tutte le persone che lungo la storia hanno dato la loro vita per costruire una società giusta e fraterna, partecipando alle lotte della classe contadina e operaia, dei partigiani e dei popoli oppressi dall’imperialismo. Il “compagno” è anche la persona con la quale si condivide il pane, e rimanda a Gesù, ai compagni di Emmaus, alle prime comunità cristiane in cui la condivisione del pane in ricordo di Gesù corrispondeva ad una condivisione dei beni. Erano comunità comuniste.
Giulio era ‘compagno di strada’, non si è rinchiuso in un convento, nell’ufficio di un professore universitario o nelle biblioteche. E’ uscito ed ha percorso le strade dell’Europa e del mondo. Non in jet privati con sciame dei giornalisti e auto blindate, ma come Gesù a piedi, come quando raggiungeva nel Chiapas in impervi sentieri di montagna il luogo di un convegno internazionale. Come Paolo di Tarso usava i mezzi di trasporto dei poveri che nel nostro tempo sono le classi economiche dei treni o degli aerei. Chi non si ricorda di Giulio con le sue valigie zeppe di libri o le borse con il computer e i manoscritti che si trascinava dappertutto. ‘Strada’ evoca anche il Movimento dei Giovani di Strada del Guatemala con i quali vivo e lavoro e che Giulio conosceva, apprezzava ed aiutava.
Giulio è stato un umanista, un grande filosofo, un prestigioso teologo della liberazione, un cultore di molte scienze umane, ma innanzitutto era un educatore e anche un grande pedagogo.
In questo mio intervento che vorrei fosse un inno all’amicizia parlerò di Giulio educatore che utilizza la pedagogia dell’amicizia liberatrice. Non lo farò con un’analisi dei numerosi scritti di Giulio sull’argomento. Si dovrà farlo, ma io non ho né gli occhi né il tempo necessario per tale lavoro. Tenterò di ripercorrere con voi la vita di Giulio per vedere come lui stesso si libera progressivamente e diventa sempre più capace di amicizia. Utilizzerò i miei ricordi e il racconto della storia che fece Giulio ad una mia studentessa, Monica D’Ettorre, in quindici incontri nei mesi di marzo ed aprile del 2004.
Giulio è nato al Cairo nel 1926 da una madre libanese e da un padre italiano, tutti e due di cultura francese. Egli passa i primi cinque anni della sua vita a Parigi, poi si trasferisce con la madre e la sorella a Beirut perché i genitori si separano. Per qualche anno la madre rimane da un fratello a Beirut e Giulio a 6 anni, inizia a frequentare la scuola italiana dei domenicani. Già parlava francese e arabo e ora apprende anche l’italiano. La madre per essere autonoma si trasferisce con i figli ad Alessandria d’Egitto dove apre un salone di bellezza ma vive nella povertà ed è spesso ammalata. Ed è la ragione per la quale iscrive Giulio, quando lui aveva 11 anni, all’internato della scuola dei Salesiani.
A Giulio i limiti dell’internato in una scuola religiosa pesano ed all’età di undici, dodici anni scrive le sue prime due opere, che raccoglie in un libro-quaderno. Il primo, che intitola “Uscire dal collegio”, è una protesta contro i limiti alla libertà nell’internato. Il secondo, dal titolo “L’amore ai ragazzi”, è un dialogo immaginario con educatori ai quali chiede, perché i bambini non possono amare, perché l’amore è loro proibito. Il libro contiene anche due poesie dedicate a due cugine delle quali si è innamorato.
Malgrado queste ribellioni Giulio apprezza il collegio perché è un ottimo alunno e gli piace essere il primo. Non avendo altre figure di riferimento in questo mondo ripiegato su se stesso, si identifica con alcuni professori che ammira al punto che vuol diventare anche lui professore e salesiano. I superiori ai quali ha confidato il suo desiderio, gli dicono che è meglio andare via dall’Egitto, ambiente, pericoloso per la sua vocazione. E gli offrono di rinchiudersi in un aspirandato isolato in una campagna del Piemonte, perché anche le città italiane mettono in pericolo le vocazioni religiose. Gli aspirandati erano internati in cui si preparavano ragazzi, spesso provenienti da famiglie povere, per diventare salesiani.
Nel 1939, all’età di tredici anni, Giulio lascia l’Egitto per andare in Italia con una nave, la madre che ha lasciato Giulio partire perché si sente ammalata e vuole assicurare il suo avvenire, lo accompagna con una carrozza. L’ultimo ricordo che Giulio ha di lei è quando la vede allontanarsi sventolando un fazzoletto bianco. Giulio sente il dolore di separarsi dalla persona che più ama al mondo.
Nell’aspirandato le contraddizioni già vissute nel collegio si acutizzano, una vita di totale isolamento dal mondo, in un’istituzione totale, dove si incontrano solo maschi, non le ragazze tentatrici, nella quale c’è un vero lavaggio del cervello, si coltivano i sensi di colpa e si reprime duramente la sessualità, l’affettività, le amicizie, la libertà, le relazioni con la propria famiglia e si esalta l’umiltà come annientamento della propria personalità. Ma Giulio riesce a sopportare questi limiti perché si dedica allo studio che gli piace molto. Già è presente a questa giovane età una caratteristica di Giulio che privilegia l’intellettualità, la cultura e tende a negligere la cura del corpo, l’alimentazione. E’ apprezzato dai superiori e dai suoi compagni per i suoi eccellenti risultati. E’ anche molto socievole, e forma facilmente delle amicizie non ancora di totale reciprocità, perché lui si crede superiore agli altri.
Era il tempo del fascismo che rinforzava ulteriormente l’autoritarismo nell’aspirandato. Giulio è capo balilla. Ci divertiva recitando a memoria il giuramento dei balilla di fedeltà al duce se necessario fino alla morte e cantando canzoni fasciste. Un altro repertorio suo erano le canzoni romantiche soprattutto francesi, degli anni trenta che penso, piacevano alla madre. L’inizio degli anni’70 eravamo andati, Giulio, mio fratello ed io ad un cinema a Parigi dove si proiettava un film con molte canzoni e Giulio ad alta voce cantava con gli attori al punto che per noi lo spettacolo si era trasferito nella sala.
Le contraddizioni e i sensi di colpa dell’aspirandato lo accompagnano nel noviziato che fa all’età di quindici anni, e che si conclude con l’emissione dei voti religiosi di povertà, castità ed ubbidienza.
Dopo il noviziato fa il liceo in un collegio salesiano, che finisce all’età di diciotto anni. Nel 1944 inizia gli studi della filosofia. A 19 anni quando nel ’45 gli fanno sapere che la mamma è gravemente ammalata e che i medici dicono che solo la presenza di Giulio, che era il suo prediletto, poteva guarire, ottiene il permesso di andare in Egitto e va a Roma per richiedere alle autorità inglesi un visto che non gli fu concesso. E’ sempre a Roma quando riceve una lettera della sorella che gli annuncia che la mamma è deceduta. E affranto dal dolore, un salesiano che lui ammirava gli rimprovera questo dolore, dicendogli che ora doveva solo occuparsi della congregazione e dimenticare la famiglia. Giulio è profondamente ferito da queste osservazioni e inizia a mettere in dubbio l’umanità di una vita religiosa che non permette di adempiere il dovere di curare i propri genitori. Si sente in parte colpevole per rimpiangere la morte della madre, però questo sarà un punto di partenza di una riflessione che gli farà in seguito rimettere in discussione la Chiesa cattolica e la sua morale repressiva. Questa ferita, questo dolore per la scomparsa della madre e soprattutto per non essere rimasto vicino a lei, lo accompagnerà fine alla fine della sua vita. Non amerà mai una persona come ha amato la propria madre. Anche se l’amore per Gesù sarà un’altra costante di tutta la sua vita. Gesù come amico e non come superiore. Giulio supera parzialmente questo dolore attraverso lo studio della filosofia nella quale realizza il suo desiderio di incontrare la modernità, “non mi ritrovavo” dice lui “in una visione filosofica chiusa scolastica e cominciavo a desiderare una forma di dedizione agli studi filosofici che fosse in qualche modo un momento di incontro con il mondo moderno, con la cultura moderna, con la cultura urbana e non fosse accettata come una forma di cultura monarchica... “
A 22 anni è nominato docente di storia di filosofia medioevale nella facoltà del Pontificio Ateneo salesiano. Imposta una relazione di amicizia e di dialogo con gli studenti e diventa il loro confidente. Questo atteggiamento è contestato dal rettore dell’Università che lo invita a comportarsi come superiore e non come compagno dei suoi studenti. Giulio dice: “per me era più importante essere amico, loro confidente, quindi avere nei loro confronti un rapporto molto democratico”. Egli vuole che il suo insegnamento aiuti i suoi studenti a crescere e a maturare e per questo inserisce la storia della filosofia nella storia universale. Persiste nella sua impostazione malgrado le osservazioni del suo superiore. Continua in questo modo il suo processo di liberazione personale dalle imposizioni dall’alto.
Ciò che mi ha colpito in Giulio è il rigore con il quale preparava sia le lezioni sia ogni conferenza o intervento. Consultava di continuo le nuove pubblicazioni sull’argomento e scriveva ogni volta le lezioni senza ripetersi mai. Lavorava per lunghe ore al giorno. Scriveva dappertutto, utilizzava tutti i momenti per scrivere o leggere quando stava in aereo o in treno, a volte non rendendosi conto che non scendeva dove era aspettato per una conferenza e varie volte perse l’aereo perché non aveva sentito l’annuncio di partenza. Voleva eccellere come professore come aveva fatto da studente.
A 25 anni inizia teologia all’Università gregoriana di Roma. Aveva chiesto di andare a Lione in Francia, dove l’insegnamento era fortemente connesso con la vita del mondo e dove era possibile vivere e sperimentare la teoria nella vita reale. Ma i superiori non accettano la sua richiesta. Rimane deluso dell’insegnamento molto ortodosso dell’Università gregoriana, non relazionato alla vita reale dei credenti e non credenti.
Fu per lui un sollievo quando dopo il secondo anno di studi viene richiamato a Torino per insegnare la metafisica, il corso più importante della filosofia scolastica. Allo stesso tempo finiva gli studi della teologia nella facoltà del Pontificio Ateneo salesiano di Torino.
In questi anni di studio fonda con alcuni compagni un gruppo per realizzare un progetto ispirato all’espressione del Vangelo: "Tutto quello che avete fatto ai più piccoli dei miei fratelli, lo avete fatto a me". Da allora Giulio concepisce la vita religiosa e sacerdotale come un servizio di amicizia e amore per tutte le persone.
Nel 1955 è ordinato sacerdote, evento che vive con forte commozione. Pensa a sua madre che non può condividere con lui la felicità di quel giorno e conferma che vuole fare della sua vita “una forma di messaggio d’amore, di testimonianza dell'amore di Dio nella storia”. “Questo è rimasto in qualche modo un desiderio in tutta la mia vita anche se l'ho attuato solo in parte, con debolezze... e tante…, ma la mia ambizione è stata sempre quella”.
Sul retro dell’immagine che regalava alla sua famiglia e alle persone a cui era legato aveva scritto: “Abbiamo creduto all'amore” e per lui questo indicava che nella sua vita voleva avere una fiducia illimitata nell’amore di Dio liberatore e nell’amore di Gesù.
Nel 1958 le facoltà di Filosofia, Diritto ecclesiastico e Pedagogia sono trasferite nell’Istituto salesiano di via Marsala a Roma.
In quell’anno sono stato chiamato ad insegnare Psicologia dell’età evolutiva, come si chiamava a quel tempo, nella facoltà di Pedagogia. E’ lì che comincia fin dalle prime settimane una profonda amicizia con Giulio che durerà più di mezzo secolo, fino a quando la morte ci separerà.
Negli anni ‘60 Giulio ha la prima crisi di depressione che ci fa capire quanto era difficile e sofferto il suo cammino di liberazione.
Nell’intervista dice che non si ricorda bene di quel periodo, ma io l’ho seguito e lo andavo a trovare ogni pomeriggio e mi è sembrato che questa depressione che dopo Giulio descriverà come una specie di morte, di perdita di fiducia in se stesso e negli altri, sia dovuta a motivi esistenziali, al fatto che sente la sua umanità soffocata da regole troppo rigide, che sente l’ostilità di alcuni colleghi che si ritengono ortodossi. In queste caserme che sono case religiose di più di 100 persone non trova la comunità di vita e di amicizia che lui ha sempre desiderato.
Giulio esce da questa crisi con le cure che ricevette in una casa di riposo e soprattutto con l’amicizia di alcuni colleghi che venivano a trovarlo regolarmente. Dopo alcune settimane riprende la vita normale come se nulla fosse accaduto.
Gli eventi degli anni ’60 gli danno l’occasione desiderata di incontrare pienamente il mondo moderno e di studiare un aspetto importante della cultura moderna, l’ateismo.
All’epoca mi disse che questo studio corrispondeva anche al desiderio di capire come suo padre, ateo convinto, godeva della vita ed era felice, mentre gli avevano sempre detto negli anni di formazione che gli atei erano tristi e infelici.
Dal ’62 al ’71 coordina l’elaborazione di un’enciclopedia sull’ateismo con la collaborazione di molti studiosi europei, opera monumentale pubblicata con il titolo: “l’Ateismo moderno”. Lo studio di questo argomento permette a Giulio di studiare l’ateismo marxista, da lui chiamato ‘ateismo militante’, per distinguerlo dall’ateismo edonista del padre. Scopre nel marxismo e nella pratica di molti comunisti, valori e modi di vivere conformi al Vangelo che spesso non incontra in uomini di chiesa ed in molte persone che si dicono credenti. Questa scoperta accelera notevolmente il processo di liberazione di Giulio. Si lega di amicizia con alcuni comunisti come Lucio Lombardo Radice, ma non sarà mai vicino al partito comunista in cui ritrova un dogmatismo, un’ortodossia e pratiche autoritarie non dissimili da quelle della chiesa istituzionale.
Nel 1966 Giulio pubblica “Marxismo e Cristianesimo”, libro tradotto in molte lingue e che avrà un profondo influsso su decine di migliaia di cristiani che vivevano un profondo disagio per la contraddizione tra la fedeltà al Vangelo e l’obbedienza alla gerarchia o l’adesione a partiti sedicenti cattolici. Più di trent’anni dopo la pubblicazione Giulio, che nel frattempo aveva scritto decine di altri libri, mi diceva:
“tante persone mi dicono che hanno letto il mio libro del ’66, ma non conoscono quelli posteriori”.
Nel 1962 inizia il concilio Vaticano II voluto da Papa Giovanni XXIII e Giulio vi partecipa come esperto. Ha scritto interventi per vari vescovi ed ha partecipato alla redazione della Gaudium et spes, uno dei documenti più importanti del concilio. Incontra molti altri esperti progressisti tra i quali un certo Josef Ratzinger. Dopo il concilio Giulio fa anche parte nell’università salesiana di un gruppo di docenti, chiamati “i manco 20” che elaborava documenti per il rinnovamento evangelico della congregazione e dell’università.
Di questo gruppo facevano parte anche Bruno Bellerate, Pepe Ramos Regidor, Manolo Gutierrez ed un certo Tarciso Bertone. A questo gruppo il superiore generale intimò l’ordine perentorio di non scrivere e non diffondere più alcun documento.
Nel ’68-’69 Giulio è coinvolto molto profondamente nella contestazione studentesca, si identifica con i giovani sessantottini. Questa esperienza gli apre nuovi orizzonti, gli rivela un marxismo alternativo, non più autoritario e gerarchico ma democratico e di base. Gli fa capire che deve cambiare il suo modo di insegnare e come dice lui:“capivo che non dovevo solo formare persone competenti ed oneste, ma anche persone impegnate politicamente e capaci di analizzare la società, di criticarla, di assumere un impegno politico molto preciso, dal punto di vista etico e politico. Compresi che la mia vita non solo cristiana ma anche di sacerdote doveva essere caratterizzata da un impegno politico dal punto di vista degli esclusi, quello degli sfruttati. Quella prospettiva doveva ormai orientare i miei studi”.
In quegli anni si interessa anche ai movimenti di base nel mondo operaio e a Roma al movimento dei baraccati. E varie volte venne a Prato Rotondo dove lavoravo con baraccati e studenti che volevano fare una scuola come quella di Barbiana di Don Milani e dove lottavamo per conquistare una casa e far rispettare tutti i diritti alla salute e all’educazione.
Nel 1969 Giulio ed io siamo espulsi dall’Ateneo salesiano. Non fu una sorpresa per me ed altri amici come Ettore Masina, ma per Giulio sì. La sera prima di ricevere questo ordine diceva a Germano Proverbio e a me che fino a quando ci sarebbe stato il provinciale spagnolo dell’università lui non temeva nessuna sanzione, al punto che fu talmente sorpreso quando lo stesso provinciale gli annunciò la notizia che rimase stupefatto e non riuscì a dire nemmeno una parola. Io ebbi una reazione totalmente diversa e il superiore citò come esempio di buon religioso Giulio che non aveva proferito nessuna parola di protesta.
Giulio ha vissuto molto male questa espulsione. Una volta che nei mesi successivi ero andato a trovarlo a Parigi, dove ero stato ospitato in una camera vicina alla sua, lo sentii gridare durante un incubo notturno per questa espulsione. Ricevette la solidarietà di molti colleghi ed amici e di gran parte dei salesiani di base.
Quelli di una provincia francese lo avevano eletto come loro rappresentante in un capitolo generale o assemblea generale dei salesiani del 1972. Giulio non fu capace di sopportare la freddezza dei superiori e l’ostilità di alcuni confratelli e rinunciò a partecipare a quell’assemblea. Ebbe una seconda crisi di depressione rapidamente superata perché era coinvolto con i movimenti di base di quell’epoca ed aveva molti amici che lo appoggiavano. Un’analisi di tipo freudiano lo aiutò a superare in parte i sensi di colpa dai quali ebbe molte difficoltà a separarsi totalmente. Però si sentiva ferito dall’abbandono dei salesiani che riteneva amici e non si erano manifestati per esprimergli la loro solidarietà.
Sempre nel 1969 è chiamato a tenere vari corsi nelle facoltà di Teologia e Filosofia dell’Institut Catholique (Università Cattolica) di Parigi, in particolare ‘Introduzione al Marxismo’.
Nel 1970 è chiamato a tenere corsi simili all’Istituto Superiore di Pastorale, Lumen Vitae, di Bruxelles.
Nel 1972 Giulio fa un’esperienza determinante per la sua vita futura. E’ uno dei pochi europei ad essere invitato a Santiago del Cile all’Incontro Continentale dei Cristiani per il Socialismo. L’Episcopato cileno condanna duramente questo evento e qualche mese dopo Pinochet che ha rovesciato con violenza il governo socialista di Allende, perseguiterà questi cristiani. Giulio è profondamente amareggiato perché durante il concilio aveva ottimi rapporti con il cardinale cileno Silva Enriquez, anche lui annoverato tra i padri conciliari progressisti. Lo stesso anno Giulio è invitato in Colombia, Ecuador e Cuba. In Colombia i vescovi tentano di impedire che parli, però i salesiani colombiani accolgono con affetto Giulio, come faranno anche i salesiani ecuadoriani.
Nel 1973 è espulso dall’Institut Catholique e nel 1974 dall’Istituto Superiore di Pastorale, Lumen Vitae. Queste decisioni sono prese dall’alto e sospetto che ci sia lo zampino del Vaticano. Per Giulio sono dolorose ma contribuiscono senz’altro alla sua liberazione manifestando chiaramente che nelle università cattoliche sottoposte alla gerarchia c’ è solo una libertà condizionata di ricerca e di espressione.
In compenso nel 1975 è invitato dalla FLM di Torino, la federazione dei lavoratori metalmeccanici e punta avanzata del movimento operaio, dalle Acli, dalla GIOC (Gioventù Operaia Cristiana) e dalla chiesa Valdese a condurre una ricerca sulla coscienza operaia. Parlando di questa esperienza Giulio afferma che in quell’epoca era emersa una nuova figura storica, quella del cristiano marxista. In uno dei primissimi incontri un metalmeccanico gli disse: “ti espellono le università cattoliche, ma il movimento operaio ti accoglie come il suo intellettuale organico”.
Per i più giovani spiego che “intellettuale organico” è un espressione con la quale Gramsci designa gli intellettuali che con il loro contributo favoriscono le lotte e l’organizzazione degli oppressi. Giulio conduce la sua inchiesta con il metodo partecipativo con numerose discussioni di gruppo di operai metalmeccanici, delle persone che vivono una situazione di oppressione e di lotta. A Torino ci sono tre collettivi di ricerca, due della FIAT e uno dei rappresentanti delle piccole e medie imprese. Giulio utilizza un metodo qualitativo che dopo sarà rivalutato da molti sociologi e da alcuni psicologi che hanno constatato l’inutilità delle ricerche quantitative. Non considera i partecipanti come ‘oggetti’ della ricerca, ma come ‘soggetti’ che fanno la ricerca a partire dalla propria esperienza di vita.
I risultati di questa ricerca esemplare sono pubblicati nel 1980 nel libro: “Coscienza operaia”. Giulio pensa che questo metodo deve essere applicato anche nella ricerca teologica, dalla gente semplice e non da esperti e tenta di farlo in Nicaragua. Anche lì Giulio è all’avanguardia in quanto pensa che la scienza va elaborata dalle persone che vivono una condizione di disagio e vogliono liberarsene.
Con lo stesso metodo condurrà una ricerca molto importante con giovani delle comunità di San Benedetto al Porto di Genova fondata da Andrea Gallo, anche lui ex salesiano. Questi giovani hanno fatto uso di droghe e si sono poi organizzati in comunità autogestite. Non sono comunità terapeutiche nelle quali i giovani sono considerati come malati non capaci di prendere decisioni per la loro vita. Nelle comunità con cui lavora Giulio sono i giovani che prendono responsabilmente le decisioni per la loro vita, lottando anche contro una organizzazione sociale che produce le tossicodipendenze. La ricerca fu pubblicata nel 1990 con il titolo: “Dalla dipendenza alla pratica della libertà”.
In tutte le sue ricerche Giulio ha una relazione di amicizia con i partecipanti e non si comporta come un professore che si crede a loro superiore.
Ho consigliato i libri di Giulio ai miei studenti con i quali lui ha condotto vari seminari sull’America Latina, perché sapeva entusiasmare gli studenti e animarli a studiare con serietà. Moltissimi ricordano ancora Giulio come un maestro di vita.
Nel 1977 i superiori salesiani lo espellono dalla congregazione e automatica-mente Giulio è sospeso “a divinis”, ossia non può più celebrare la messa e i sacramenti. Questa espulsione lo libera definitivamente da un’istituzione che ha tentato di imprigionarlo e di impedirgli di realizzare la sua vocazione umana ed evangelica, egli afferma che è servita a fargli approfondire e maturare la sua fede come scelta libera. Riflettendo sui quarant’anni di vita passati nelle case salesiane Giulio constata con rammarico che non ha mai fatto l’esperienza di una vera comunità unita dai legami di stima e di amicizia per realizzare un progetto comune. Egli ricorda l’affermazione di Voltaire, secondo il quale, i religiosi si uniscono senza conoscersi. Vivono senza amarsi e muoiono senza rimpiangersi. Però, Giulio distingue tra i superiori salesiani che l’hanno espulso e i molti confratelli che in tutto il mondo gli hanno in quell’occasione manifestato solidarietà e affetto.
Con Giulio e con Bruno Bellerate abbiamo parlato più volte di formare una comunità in un quartiere popolare di Roma in cui avremmo realizzato attività culturali, sociali e politiche. Dello stesso progetto abbiamo anche parlato in seguito con Nora Habed e Mimmo Sarra. Non abbiamo potuto realizzare questo sogno soprattutto perché non avevamo le risorse necessarie per comprare una casa adatta a questo scopo e anche perché eravamo sempre in giro per il mondo. Sempre per motivi economici, Giulio non si poté trasferire come desiderava alla Magliana dove sarebbe stato più facile incontrarci ogni giorno.
Dal 1978 al 1996 Giulio è stato professore di Filosofia politica all’università di Sassari. La casta dei filosofi accademici non gli ha mai concesso la nomina a professore ordinario, in particolare per l’opposizione di certi docenti cattolici.
Il 1980 è un anno importantissimo per Giulio e segna l’inizio di un periodo molto bello della sua vita. Un anno prima il popolo del Nicaragua guidato dai Sandinisti, ha rovesciato la feroce dittatura dei Somoza, rappresentanti dell’imperialismo statunitense in questo paese. Questa rivoluzione concordava con le idee e le attese di Giulio e grande fu la sua gioia quando ricevette l’invito a partecipare al primo anniversario della campagna di alfabetizzazione realizzata da studenti universitari e delle scuole secondarie che erano i protagonisti della rivoluzione. Per molti di loro, cristiani, l’alfabetizzazione era un modo di annunciare il Vangelo di liberazione di Gesù.
Giulio ricorda anche la visita nel 1983 di papa Wojtyla che invece di incoraggiare i cristiani ad impegnarsi per la realizzazione dei progetti di giustizia nel loro paese, fece rimproveri ai sacerdoti che ricoprivano incarichi ministeriali. Durante una celebrazione di fronte ad una moltitudine di gente venuta da tutte le regioni del paese, il Papa invece di ascoltare la voce delle madri che gli chiedevano una preghiera per i loro figli morti nella guerra scatenata dagli Stati Uniti contro la rivoluzione, volle imporre il silenzio ad un popolo che aveva conquistato il diritto alla parola. Il papa richiamò i cristiani all’obbedienza ai vescovi che combattevano la rivoluzione sandinista. Giulio dice che il papa polacco non si rendeva conto della differenza tra la Polonia e il Nicaragua, dove erano proprio i cristiani gli artefici della vittoria della rivoluzione. Così il Papa serviva gli interessi dell’imperialismo statunitense nel paese. D’altronde, Wojtyla combatteva duramente la teologia della liberazione e al posto dei vescovi fedeli allo spirito del Concilio Vaticano II, nominava vescovi reazionari. Giulio arriva così alla distinzione tra la chiesa gerarchica e la chiesa popolare, formata da comunità di base in cui fratelli e sorelle sono uniti dall’amore e protagonisti dell’annuncio del Vangelo, dove non ci sono gerarchie e imposizioni dogmatiche.
Dal centro ecumenico Valdivieso fu invitato ad analizzare da un punto di vista teologico la rivoluzione sandinista. Nei cristiani rivoluzionari Giulio scopre la convergenza non solo del marxismo e del cristianesimo, ma anche del sandinismo. E analizzerà questa sintesi tra le tre correnti in un libro pubblicato nel 1986.
Dal 1980 fino al 2007 Giulio passerà ogni anno qualche mese in Nicaragua. È lì quando nel 1990 i sandinisti sono sconfitti alle elezioni e devono lasciare il posto a Violetta Chamorro del Partito liberale, vicino agli Stati Uniti. È testimone della deriva di buona parte dei comandanti che hanno in mano il partito del fronte sandinista, che si identificano sempre più con gli interessi della borghesia. Giulio reagisce e condanna questa involuzione nelle colonne del periodico “El Nuevo Diario”.Inviterà pubblicamente Daniel Ortega a dimettersi da deputato per rispondere in tribunale alle accuse formulate contro di lui dalla figlia della sua compagna. Questo tradimento dei rivoluzionari borghesi non scoraggia Giulio che continua a impegnarsi con la base sandinista, perché da molto tempo lui sa che è la base, gli esclusi, che possono cambiare la società e non i ricchi e i potenti.
Giulio fa parte di Unicaragua, organizzazione di solidarietà di universitari italiani con le università del Nicaragua, associazione che avevo fondato nel 1986 con colleghi dell’università La Sapienza di Roma, tra cui Bruno Bellerate, Raul Mordenti, Ezio Ponzo. Nel 1990 Unicaragua accetta la richiesta di Nora Habed di cercare finanziamenti per borse di studio a sandinisti che avevano abbandonato i loro studi universitari per impegnarsi nella rivoluzione. L’associazione ha potuto in questo modo accompagnare più di 500 giovani universitari che avevano un impegno sociale e politico nella loro comunità. Giulio partecipò attivamente a questa associazione pagando ben dieci borse di studio. Egli non si è arricchito e ha condiviso non solo la sua vita, il suo impegno culturale e politico con gli oppressi, ma anche le poche risorse materiali che possedeva. Non è mai stato proprietario di una casa.
Quando nel 1996 siamo entrati in conflitto con dirigenti sandinisti che volevano utilizzare le borse di studio per rafforzare il loro potere, Giulio ci ha suggerito di dare al centro Valdivieso la gestione di questo progetto.
Le relazioni tra il Nicaragua e Cuba erano strette e questo facilitò l’impegno di Giulio anche in questo paese, dove dal 1986 al 1997 collabora con il Dipartimento America, le chiese evangeliche, il centro Martin Luther King, l'Accademia delle Scienze (centro di studi socio-religiosi) e l’Istituto di filosofia. Durante il viaggio di papa Wojtyla nell’isola, Giulio è stato invitato con il belga François Houtart, il brasiliano Frei Betto e un sociologo dello stesso paese per dare a Fidel Castro un’interpretazione dei discorsi tenuti dal Papa durante la giornata. Giulio mi raccontò che dopo la partenza del Papa, furono invitati a cena dal leader cubano che disse che Wojtyla era il mal di testa degli Stati Uniti. Uno degli invitati gli rispose: “però è un mal di testa che si cura con una semplice aspirina!” Tuttavia Giulio criticava l’autoritarismo dello stato cubano. Mi aveva invitato a svolgere una inchiesta sulla condizione dei giovani cubani. Gli risposi che accettavo però a condizione di avere la libertà di intervistare chi volevo e non solo i giovani indicati dal partito. Questa condizione non fu accettata e Giulio approvò la mia decisione di non svolgere questa inchiesta.
Negli stessi anni, Giulio svolge vari incontri in Messico e ricorda in particolare quello con Samuel Ruiz, vescovo di San Bartolomé de Las Casas che gli fa scoprire l’importanza del movimento indigeno con il quale Giulio collaborerà soprattutto in Nicaragua, Ecuador, Bolivia. In Nicaragua si impegna con l’università indigena URACCAN della Costa Atlantica per la promozione della cultura indigena e incoraggia a rivalutare la loro religione come componente essenziale della loro cultura. Egli fa parte della campagna continentale “500 anni di resistenza indigena nera e popolare”. Giulio non è settario e anche quando non è d’accordo con l’ideologia e la pratica di una istituzione, egli può collaborare con persone che stima e stringere con loro relazioni di amicizia. Così tiene ottimi rapporti con vescovi, non solo con Samuel Ruiz del Chiapas, ma anche con Sergio Méndez Arceo, anche lui del Messico, e con Pedro Casaldàliga del Brasile.
Giulio è stato molto influenzato dal pensiero del vescovo Leonidas Proaño, dell’Ecuador, eminente teologo della liberazione che ha lavorato con gli indigeni nel loro impegno per liberarsi dall’oppressione che subiscono da 500 anni. Non sono riuscito a verificare, se Giulio abbia incontrato personalmente Proaño. Nel 1998, a dieci anni della morte di questo vescovo, Giulio partecipa ad un incontro nel luogo dove è stato sepolto e svolge un seminario che pubblicherà poi, con la collaborazione di Gianni Novelli, in un opuscolo dal titolo: "Seminando l’amore come il mais. Leonidas Proaño, testimone e teologo dell’amicizia liberatrice”.
Abbiamo già visto che nella vita di Giulio l’amicizia assume un’importanza vitale. Amicizia con Gesù e di conseguenza con tutte le persone. Egli non può concepire una vera educazione che non sia fondata sull’amicizia. Giulio scopre nell’autobiografia di Proaño il concetto non solo di amicizia, ma anche di amicizia liberatrice. E questo gli permette di esprimere meglio ciò che già pensa e lo spinge ad una sistematizzazione della sua concezione dell’amicizia.
Dal 1994, Giulio seguiva con molto interesse il Movimento dei Giovani di Strada del Guatemala che avevo formato con un gruppo di ragazze e ragazzi di questo paese. Il nostro movimento autogestito favoriva il protagonismo dei giovani e voleva difendere i loro diritti con la loro partecipazione ad una trasformazione della società. Privilegiava l’amicizia nel rapporto educativo e dava una importanza fondamentale alla formazione di un pensiero autonomo e critico di ogni giovane. Corrispondeva quindi alle idee di Giulio. Fu lui stesso a proporre di svolgere un seminario sul tema dell’amicizia liberatrice con giovani e lavoratori del Movimento. Era la prima volta che assistevo ad un seminario di Giulio e ho constatato che sapeva organizzarlo molto bene, partendo dall’esperienza di ogni giovane per fargli prendere coscienza dell’importanza dell’amicizia nella propria liberazione. Grazie a questo seminario abbiamo approfondito maggiormente il tema dell’amicizia che abbiamo abbinato anche noi alla liberazione, come faceva Giulio. Le ragazze e i ragazzi hanno partecipato all’elaborazione di un video dal titolo: “Educazione è amicizia e libertà”.
Giulio era anche membro della rete di amicizia con le ragazze e i ragazzi di strada, Amistrada, che abbiamo formato in Italia e in Belgio per condividere con le ragazze i ragazzi del Guatemala il sogno e l’impegno di una società più umana e fraterna. Giulio fece interventi molto apprezzati nelle assemblee della nostra rete, nella quale vedeva i valori che avevano ispirato tutta la sua vita, in particolare l’amicizia e l’impegno per trasformare la società internazionale .
Il suo coinvolgimento con il movimento indigeno indurrà Giulio a partecipare nel 2001 al primo Social Forum a Porto Alegre. Era un incontro dei movimenti per la globalizzazione alternativa, per coordinare le campagne mondiali, condividere e raffinare le strategie organizzative, informarsi vicendevolmente sui diversi movimenti sparsi per il mondo e sulle loro tematiche. Fino al 2004, Giulio parteciperà a tutti questi incontri annuali del Movimento di Porto Alegre, come lui lo chiamava. Questo lo aiuterà a sottolineare l’importanza di unire tutte le realtà di base per combattere la globalizzazione neoliberista che minaccia la sopravvivenza stessa dell’umanità e del nostro pianeta. Per Giulio, il movimento “…è la più interessante espressione internazionale di solidarietà e di alternativa alle forme dominanti di cultura, che sono invece quelle che tendono a fare del mondo un terreno di dominio da parte dei più forti, da parte dei più potenti su coloro che sono deboli, su coloro che sono emarginati. A noi sembra che sia la migliore risposta a questo tentativo di violenza verso tutti i settori emarginati, noi stiamo invece cercando di cogliere questi settori e di comunicare loro la coscienza che hanno un potere, ma non è un potere basato sulle armi, basato sulle ricchezza, ma un potere basato sulle loro capacità di amare, di donarsi, sulla loro capacità di costruire costantemente delle alternative a questo tentativo di dominazione”.
Alla fine del 2004 Giulio è colpito da una grave depressione che durerà vari mesi, molto più grave, delle due anteriori. Giulio si sente emarginato ed inutile, ma più profondamente si sente colpevole per aver ceduto a volte al desiderio di primeggiare e non all’amore disinteressato e alla condivisione con gli esclusi. Durante tutta la sua vita, egli ha lottato per far prevalere l’amore sull’egoismo. Ma in questa fase molto dolorosa della sua vita è assalito da dubbi e sensi di colpa che lo tormentano al punto che si chiede se sarà salvato. Gli è stato molto duro uscire da questa depressione - come dice lui - e attribuisce la sua guarigione alle cure mediche, e soprattutto all’amicizia delle persone che andavano a trovarlo frequentemente. Questa depressione aiuta Giulio a crescere umanamente e spiritualmente, ad approfondire l’amicizia come rapporto di parità e di condivisione. Scopre un’altra categoria di persone che subiscono la maggiore esclusione perché sono depresse, tagliate fuori dalle relazioni con la società e con gli altri, e scopre che la depressione che colpisce milioni di persone si estende rapidamente per l’oppressione del sistema globale al servizio del profitto che umilia la dignità di tante persone, le loro possibilità di avere un lavoro che gli permetta una vita umana e la realizzazione dei propri sogni. Giulio vorrebbe che la sua testimonianza sia un segno di speranza per tutte queste persone e, implicitamente, ci invita tutti ad una maggiore solidarietà con quelle persone vittime dell’oppressione globale.
Un altro progresso significativo è che si rende conto dell’errore, le cui origini risalgono alla vita nell’aspirandato, di aver preso in considerazione solo l’intelligenza, lo spirito e non il corpo. Non si è preso sufficientemente cura di se stesso, mangiava ciò che gli capitava perché non dava importanza agli aspetti materiali dell’esistenza, come se il corpo, l’intelligenza, la cultura, la spiritualità, non fossero un tutt’uno.
Giulio, che al momento delle interviste frequentava ancora il day hospital, fa una dichiarazione sorprendente dicendo che questo è il periodo più felice della sua vita. Pensa che si sia finalmente liberato dai sensi di colpa e raggiunta la pienezza della maturità umana e spirituale che gli permette di realizzare la sua vocazione di testimone dell’amore liberatore di Dio e di Gesù per gli uomini nella storia di oggi. D’ora in avanti concepisce l’amicizia come rapporto di parità assoluta e di condivisione e vuole condividere la sua vita soprattutto con gli indigeni che ha conosciuto in vari paesi dell’America Latina e con le ragazze e i ragazzi del movimento dei giovani di strada del Guatemala.
Dopo la depressione Giulio ha in cantiere vari progetti: finire il libro sul Che Guevara nel quale intende “approfondire le motivazioni di fondo del Che, quelle che spiegano la sua capacità di dedicare la vita completamente agli altri… alla lotta contro /'imperialismo che è la forma di emarginazione più dolorosa, più profonda ...”; vuole anche scrivere un libro con il titolo: “Il movimento sovversivo di Gesù nella società capitalista”; non dice la chiesa o le chiese di Gesù. Per lui tutte le religioni e anche l’umanesimo ateo sono ugualmente validi quando sono al servizio dell’umanità. Nella parabola del giudizio ultimo Gesù dice che tutto ciò che è stato fatto per il più piccolo dei suoi fratelli è fatto a lui stesso. Anche se chi l’ha fatto non lo conosceva; un terzo progetto è quello di scrivere un libro sulla pace considerata come “la capacità di far valere delle motivazioni … e dei valori,… quelle esperienze che danno un senso alla vita e che dovrebbero contribuire a dare ancora un senso a questa società”.
Giulio ha studiato Gandhi che ammira molto e si è interessato al buddismo e alla meditazione trascendentale. Anche lui è convinto che non si risponde alla violenza del capitalismo con un’altra violenza, ma con un pacifismo attivo riempito da queste esperienze che danno un senso all’esistenza, particolarmente per tutti quelli che sono emarginati e si sentono inutili nella società capitalistica.
La depressione dolorosa che ha vissuto e l’analisi lucida che ha realizzato lo inducono a cercare come una alternativa che dà un senso alla sua vita, la ricerca della condivisone dell’amore con i popoli indigeni e con le ragazze e i ragazzi di strada del Guatemala. Questa condivisione si può esprimere come esperienza di amicizia liberatrice “che realizza gli altri come soggetti, quindi che non è vissuta come una forma di risposta al problema semplicemente della povertà, ma che è nello stesso tempo di valorizzare in positivo le risorse che ci sono in queste persone, che ci sono nei popoli indigeni, che ci sono nei ragazzi e ragazze di strada. Gli orizzonti che si sono aperti, che si sono precisati nella mia ricerca che intendo vivere come un progetto centrale di vita, di amore e di speranza per me .... Credo di averti detto l’essenziale di questo periodo che è fondamentalmente un periodo di grande ricchezza, di grande soddisfazione, un periodo che è quasi una forma di resurrezione. Per il superamento di quell'esperienza di emarginazione che credevo di vivere, il superamento di morte, di abbandono delle esperienze terrene, perché in questo momento tutte quelle esperienze negative si stanno rovesciando e diventando uno stimolo profondo a vivere, uno stimolo profondo a sperare, uno stimolo profondo ad amare...”.
Giulio realizzerà solo il primo progetto, quello di finire il libro sul Che, che sarà pubblicato nel 2005 e che presenterà in varie città d’Italia.
Il 26 maggio del 2006 dopo un intervento in un convegno internazionale sull’America Latina a Roma, Giulio è colpito da un ictus leggero di cui non si rende nemmeno conto. Claudio e Ornella Giambelli, amici fedeli che lo accompagnano, si rendono conto della gravità dell’accaduto e portano Giulio ad un pronto soccorso dell’ospedale più vicino. Lì è colpito da attacchi più gravi e rimane semi-paralizzato. Le cure riabilitative non migliorano la sua condizione e Giulio accetta la proposta di Bruno e Marina Bellerate di andare a vivere nella loro abitazione nei Castelli Romani. La lontananza impedirà a molte persone di andare a trovarlo frequentemente. E malgrado le premure di Bruno e Marina e dei loro figli, inizia per Giulio un lungo periodo di solitudine e penso anche di depressione. In questa lunga notte buia e fredda c’è qualche raggio di sole. La presenza di Maria, una giovane donna rumena che lo assiste con disinteresse e amore, le visite di Bruno, di tanto in tanto, la presenza di amici fedeli, di ragazze di strada. Vorrei ringraziare e ricordare in particolare Claudio Giambelli per la sua fedeltà, Aldo Zanchetta, Benito Fernandez dalla Bolivia e Uriel Molina dal Nicaragua e tutti quelli che di tanto in tanto sono andati a trovarlo. Giulio rimane lucido, ha informazioni dalla televisione, ma si sente prigioniero del corpo che non gli obbedisce più. Soffre di non poter fare più nulla e sogna di realizzare progetti, nella sua condizione totalmente irrealistici. Si rifugia sempre di più in un mutismo ostinato e rifiuta sempre di più di mangiare. In dicembre dell’anno scorso, si pensa che la fine è vicina. Nei primi giorni di febbraio sorprende tutti perché comincia a parlare e a mangiare. E’ un’altra resurrezione.
Avvisato da una lettera elettronica di Nora di quanto accade, dal Guatemala telefono immediatamente a Giulio. Gli dò notizie delle ragazze e dei ragazzi di strada, gli comunico che una ragazza che ha conosciuto e appoggiato, e sua figlia della quale è il padrino e che entrerà il prossimo anno all’università, verranno a visitarlo nel novembre prossimo. Lui si rallegra molto della notizia. Gli chiedo allora cosa vorrebbe dire alle ragazze e ai ragazzi di strada e mi risponde: “Devono credere alla resurrezione”.
Dobbiamo credere alla resurrezione. Quest’ultimo messaggio di Giulio vale anche per noi tutti, compagne e compagni. Non siamo riuniti qui per piangere un morto, ma per dare continuità al sogno di Giulio di contribuire a creare una terra nuova e cieli nuovi.
Oggi il potere della morte si estende su tutto il nostro pianeta. E’ il potere della globalizzazione neoliberista, della finanza speculativa internazionale, delle multinazionali che continuano a saccheggiare i paesi del terzo mondo, degli Stati Uniti e dei paesi ricchi e della maggior parte dei governi sottoposti al potere economico. Non bisogna andare in America Latina o in Africa per constatarlo. Anche qui possiamo vedere i disastri che provoca. La disoccupazione in aumento che colpisce soprattutto le donne e i giovani, la precarietà del lavoro per milioni di persone che non hanno i mezzi necessari per una vita decente, le pensioni infami dopo lunghi anni di lavoro. Lo sfruttamento degli immigrati, la distruzione dei diritti duramente conquistati dai lavoratori con lotta e sangue, l’annientamento dello stato sociale. Ma il sistema dominante non causa solo miseria materiale, distrugge anche l’umanità nell’uomo. Provoca depressione in milioni di persone, favorisce l’individualismo, il razzismo, il risorgere di movimenti nazisti che nel ’45 credevamo per sempre sepolti. Giulio ha analizzato come il dominio imperialista è anche colonizzazione delle menti e delle coscienze. Distrugge i legami di solidarietà che sono la base di una vita civile. Attraverso la scuola, i mezzi di comunicazione di massa come la televisione, il consumismo, le droghe, il tifo e gli spettacoli dell’industria dello sport, la moda, le invenzioni tecnologiche, fa apparire necessari i duri sacrifici imposti alla maggioranza delle persone. Domina una cultura del vuoto, dell’apparenza, dietro alla quale c’è il non senso e la disperazione.
Il sistema dominante sta distruggendo anche il pianeta, inquina la terra, l’acqua e l’atmosfera.
Per difendere il loro dominio i padroni del mondo ricorrono anche alla guerra, devastano paesi per i loro interessi come fecero gli Stati Uniti per distruggere la rivoluzione sandinista in Nicaragua e il movimento popolare indigeno in Guatemala e in molti altri paesi dell’America Latina. Devastano paesi come Iraq e l’Afganisthan, precipitandoli nel caos per controllare le risorse petrolifere.
È urgente una riscossa, non aspettiamo la venticinquesima ora quando non si potrà più reagire per nulla. Per cambiare il senso della storia Giulio ci dà preziose indicazioni su chi lo può fare e su come prepararla. Per lui sono gli esclusi, gli emarginati, gli ultimi che hanno la forza, che hanno la possibilità di realizzare un’inversione di rotta della storia. E qui parla di movimenti, movimenti degli studenti e della classe operaia negli anni ’70, movimento dei giovani sandinisti, degli indigeni del Chiapas e di tutta l’America Latina, movimento delle ragazze e dei ragazzi di strada, movimento dei cristiani per il socialismo, movimento di Porto Alegre e anche il movimento di Gesù.
Nel lungo racconto della sua vita, non cita mai un partito, anche se si è avvicinato maggiormente ai partiti che sono alla sinistra della sinistra però senza identificarsi con loro. Egli cita invece la Federazione dei Metalmeccanici di Torino negli anni ’70, la Chiesa Valdese, la GIOC e le Acli di quei tempi. Giulio è utopista ma non ingenuo, sa benissimo che non basta essere escluso per poter contribuire a un cambio di società, ma che è necessario che gli esclusi siano coscientizzati e si organizzino alla base. Giulio vede che il cambiamento è possibile se le organizzazioni locali dove le persone unite da amicizia decidono tutto insieme nella loro lotta per il diritto degli esclusi , si uniscono a livello mondiale come hanno iniziato a fare a Porto Alegre. Non a caso Giulio parla del movimento di Porto Alegre.
Egli non preconizza una lotta armata contro il sistema globale, ma una resistenza e un cambiamento pacifico, basato sull’amicizia e sull’amore, sui valori alternativi di condivisione. Parla di un metodo educativo basato sull’amicizia liberatrice che per lui è condivisione d’amore. Nella sua vita così densa Giulio ha realizzato il sogno che si era formato durante l’adolescenza, di essere educatore e di annunciare la buona notizia dell’amore e della liberazione che aveva annunciato Gesù, l’amico della sua vita.
L’intervista realizzata da Monica D’Ettorre sarà inserita nel sito di AMISTRADA, Rete di amicizia con le ragazze e i ragazzi di strada, sotto il titolo “Giulio Girardi ci racconta la sua storia: un messaggio di speranza per le persone depresse”. Questa biografia può essere riprodotta, diffusa e tradotta, a condizione di citare l’intervistatrice ed il sito amistrada.net.
Il video “Educazione è amicizia e libertà” può essere richiesto all’ indirizzo e-mail: amistrada.onlus@gmail.com o al cell. 334 2185468, può anche essere scaricato dal sito amistrada.net dove si può anche trovare la pubblicazione: “Seminare amore come il mais. L'insorgere dei popoli indigeni” e altre pubblicazioni di Giulio Girardi
Sono stato aiutato nella redazione di questo testo da: Ana Maria Zuluaga, Chiara Brunetti, Cecilia Simi, Nora Habed, Sabina Broggini, Stefania Santuccio che ringrazio affettuosamente.