testimonianze + 2009 agosto 23 - Guatemala

 

Care amiche ed amici delle ragazze e dei ragazzi di strada,

 

le vacanze stanno per finire, è vicino l'inizio delle scuole, si ricomincia la vita di ogni giorno, i gruppi stanno per ricominciare le loro riunioni ed è tempo di ristabilire i contatti interrotti dalle vacanze estive. Spero che stiate bene e vi mando la prima lettera dalla strada con un affettuoso saluto da parte mia e delle ragazze, ragazzi e personale del MOJOCA.

 

Sono arrivato in Guatemala il 19 luglio scorso in compagnia di Nora che veniva per incontri di formazione e una supervisione del andamento della nostra associazione.

 

Il lavoro è iniziato in quarta: l'indomani del nostro arrivo, abbiamo incontrato le Quetzalitas ed i loro bambini. Non si poteva iniziare meglio. Poi, le riunioni con il comitato di gestione e con il personale. E dal giovedì della prima settimana, iniziamo già le riunioni con i 24 gruppi di lavoro per esaminare la loro relazione sulle attività del primo semestre, vedere insieme ciò che deve essere migliorato e come. Elaboriamo un piano di lavoro, Nora inizia gli incontri di formazione e la partecipazione alle attività di ogni gruppo di lavoro.

 

Il mio primo lavoro è l’elaborazione con Glenda della redazione globale del primo semestre: analizzare fino a quale punto gli obiettivi generali e particolari sono stati raggiunti. Poi, come sempre, ricevo i giovani e i lavoratori che vogliono parlare con me, i rappresentanti delle associazione che ci appoggiano come un simpatico gruppo di giovani di Mani Tese di Firenze e Valentina di Soleterre di Milano.

 

Bisogna anche pensare al futuro, creare una "impresa di strada" che potrà produrre e vendere pane, dolci, cioccolato e altri oggetti fabbricati dai giovani. Sogniamo. Visitiamo una splendida casa di 1200 metri quadri. Troppo cara, troppo difficile da mantenere in buono stato, troppo grande per iniziare. Poi, una amica ci offre di riprendere una caffetteria dove si offrono due piatti per il pranzo e dove si vendono prodotti del commercio solidale. La casa è situata in un luogo strategico, più protetto di altri, nelle vicinanze della casa del presidente della repubblica e del Parco Centrale. C'è già una clientela. Sogniamo di vedere dei giovani nella cucina, nel ristorante come camerieri o al lavoro nella panetteria-pasticceria, nella cioccolateria,  nel negozio. Ma il sogno dura poco. La casa non è in buono stato e costerebbe troppo restaurarla. Ed è troppo piccola per ospitare un forno ed una cioccolateria. Non abbiamo i soldi disponibili per ora.

 

Tutto va bene, troppo bene. Si potrebbe dimenticare che si vive in Guatemala, il far-west del terzo millennio, un paese dove vige il diritto dei violenti, dominato da bande criminali, poteri occulti, mafie dove si mescolano narcotrafficanti, sequestratori, estorsori, sicari, settori deviati della polizia e del esercito agli ordini di componenti della potente oligarchia guatemalteca. Il paese, come ha scritto un giornalista belga, è l'epicentro dell'impunità.

 

I giovani che vivono per strada sanno cosa vuol dire vivere sotto la legge della mafia. Distruggono, sporcano, puzzano, ammazzano, è il volto orrendo senza maschera del potere, del danaro, del disprezzo delle persone.

 

Tocca a una giovane donna di 22 anni, madre di 3 bambini, ricondurmi duramente alla realtà. L'avevo conosciuta quando aveva 11 anni, alla "novena" la nona “avenida, una piazza brulicante, capolinea di bus che fanno l'andata e ritorno con le regioni. Ci si incontrano narcotrafficanti, papponi, sicari, stupratori, pedofili. Ed in mezzo a questa melma, ragazzine candide che già hanno tutto subito.

 

Chiamerò Cinzia questa giovane donna, per discrezione. Faceva parte di un gruppo di strada che veniva alla novena per rifornirsi di colla o di solvente. Quando mi vide mi tese le braccia. Già era notte. Per non staccarsi da me faceva finta di dormire, la testa appoggiata sulla mia spalla. Sembrava più piccola della sua età, le avrei dato non più di otto - nove anni. Ancora non avevamo una casa e non potevo portarla alla pensione dove vivevo con un gruppo di studenti dell'università di Roma. L'avrei fatto se fossi stato accompagnato da studentesse, ma non lasciavamo le donne del Mojoca andare alla novena, un luogo troppo pericoloso per loro.

 

Ho rivisto più volte Cinzia. Ho saputo che una giovane la picchiava per obbligarla a subire la violenza dei pedofili. Per sopportare, per dimenticare, per stare lontana dal proprio corpo in balia di perversi, si ubriacava con la colla. Quando mi vedeva mi chiedeva una bambola, una bambina senza infanzia nel paese degli orchi, una preda facile per le bestie malvagie. Poi è sparita senza che potessi fare nulla per lei. Un peso in più di tristezza e preoccupazione da portare giorno e notte.

 

L'ho rivista negli anni seguenti e ogni volta mi chiedeva una bambola. E di un colpo il miracolo: Cinzia, una rosa in mezzo al letame, ne è uscita. Si è sposata, ha avuto tre bambini, faceva studi brillanti, era la prima della sua classe, la porta-bandiera,, come si dice in questo paese di generali e soldati. Viveva del suo lavoro fabbricando e vendendo profumi e prodotti di pulizia. Non era sempre facile, ma se la cavava, aveva iniziato gli studi superiori. L’università non era lontana.

 

E al improvviso, la catastrofe. Una banda di giovani criminali del miserevole quartiere dove vive le chiedono un pizzo, minacciando di ammazzarla, tentando di strapparle la più giovane delle figlie. Le annunciano per telefono una "visita", cioè un irruzione violenta nella sua casa, lo stupro, torture e probabilmente la morte. La molestano per obbligarla ad andare in carcere per soddisfare gli altri malvagi della banda. Poi, ammazzano suo fratello di 25 anni, che da pochi giorni ha avuto una bimba. Poi, suo cognato, stremato, si suicida lasciando una moglie e quattro bambini piccoli. La sorte si accanisce contro di lei; però non perde coraggio e con l'aiuto del movimento andrà a rifarsi una vita altrove.

 

Tutto va bene per il Mojoca fino alle 7.30 di lunedì 3 agosto, quando squilla il telefono nella casa della tredicesima strada. Qualcuno vuol parlare urgentemente con l'amministratrice che ancora non è arrivata. Quando riesce a farlo, le intima l'ordine di preparare diecimila Quetzales per le ore 11. In caso contrario l'ammazzeranno, lei, poi Glenda, poi Sara, Naty, Mirna e "el viejo", il vecchio. Le telefonate si inseguono frenetiche ed abbiamo il tempo di chiamare la polizia e una ditta di sicurezza che già ci ha aiutato. In questi momenti di emergenza, non si possono convocare assemblee, bisogna prendere rapidamente decisioni che, per essere efficaci, non possono essere divulgate. Prendo in mano la situazione. Tento innanzi tutto di rassicurare i giovani e i lavoratori, e chiedo che ci sia una guardia armata alla porta del centro educativo e, per la notte, una donna di una impresa di sicurezza nella casa delle ragazze. Le ragazze ed i ragazzi che hanno vissuto per strada riescono più facilmente a dominare la paura, anche se le madri sono angosciate pensando ai loro figli. Gli altri invece crollano più facilmente.

 

Rifiuto la proposta della polizia di tendere una trappola ai malviventi facendo finta di negoziare con loro e di consegnare loro il denaro per permettere la loro identificazione. E’ troppo pericoloso se abbiamo a che fare con la temibile banda dei "salvatruchas" che conta decine di migliaia di affiliati. E’ impossibile proteggere dai loro attacchi le ragazze ed i ragazzi che vivono per strada o quelli che si spostano da una casa ad un'altra o i lavoratori che fanno i tragitti tra la loro casa e il Mojoca. Quelli che ci minacciano affermano di far parte di questa banda perché sanno che incute terrore.

 

Dopo due giorni decidiamo di interrompere subito le loro chiamate senza dire neanche una parola. Insisteranno ancora cinque volte, poi dal giovedì ci lasciano in pace, hanno capito che non ricaveranno neanche un quetzal, che non abbiamo paura di loro. Tutto è finito. Almeno è ciò che speriamo. Spesso è ciò che succede quando non ci si lascia intimidire da loro. Molti tentativi di estorsione partono dal carcere, dove i prigionieri che hanno soldi hanno il loro appartamento con televisione, frigo e telefono. Possono anche riceve per la notte la moglie o altre donne.

 

Dobbiamo combattere un nemico invisibile, sornione, vigliacco e per sapere se hanno veramente l'intenzione di mettere a esecuzione le loro minacce, bisogna aspettare il primo attentato. Che gioia constatare ogni mattina che nessuno manca al appello! Prendiamo precauzioni, cambiamo ogni giorno l'orario di entrata e di uscita, modifichiamo di continuo gl'itinerari da una casa all'altra, non si prende mai il mezzo pubblico alla stessa fermata. Mi tornano in mente ricordi del 1944 quando mio padre, capo partigiano, mi affidava compiti di corriere. Questi balordi non ci fanno paura.

 

La guardia che sta di notte nella casa delle ragazze ha buone relazioni con loro, ma durante la notte russa come un reggimento di granatieri e non si sveglia neanche per un rumore spaventoso come qualche notte fa quando due macchine si sono urtate di fronte alla casa. Ci siamo svegliati tutti eccetto lei. Finirà il suo servizio fra qualche giorno. Personalmente mi sento più tranquillo senza guardia.

 

Ho vissuto questo periodo senza paura, ma con intense preoccupazioni per le ragazze, i ragazzi, le collaboratrici ed i collaboratori. Era un periodo strano, si stava sempre sull'allerta, si notavano dettagli che prima passavano inosservati. Una sera di questo periodo surreale, dovevo andare alla casa dei ragazzi. Ho chiamato un taxi di fiducia. Ero riuscito, non senza difficoltà, a convincere Kenia, Berta e Nora a tornare a casa e che ero capace di aspettare da solo, come un grande, l'arrivo di un taxi. Per una serie di malintesi, il taxi non arrivava, dovetti aspettare quasi un'ora nella casa silenziosa e buia, dove c'erano solo la guardia e René. Finalmente mi chiamano al cellulare per dirmi che il taxi aspettava davanti alla porta. Sono uscito con René per ritrovarmi in mezzo ad uno spettacolo insolito: non c'era nessun taxi e sul marciapiede di fronte alla casa c'era una trentina di persone, soprattutto giovani donne vestite di nero. Io le guardavo e loro mi guardavano perché non c'era altro da guardare se no René ed io, e dietro a noi la guardia sulla soglia della casa. Tutto pareva irreale. La strada debolmente illuminata, quasi deserta, le macchine che correvano a tutta velocità, le donne in nero che parevano aspettare qualcosa e nessun taxi in vista. Non avevo paura, solo l'impressione di avere un ruolo in un film poliziesco che avrei intitolato: “Trappola perfetta”. Ma nessuna macchina rallentava, nessun sicario sparava dal finestrino ed il taxi si ostinava a non arrivare. Siamo rientrati in casa e abbiamo chiarito l'episodio: il taxi si era sbagliato e ci aspettava in un'altra strada, mentre le persone vestite di nero aspettavano un morto per una veglia funebre in un edificio non lontano dalla nostra casa.

 

L'allerta è finita, è ciò che speriamo, ma ha provocato guasti. La nostra amministratrice ha dato le dimissioni, ed è per noi una grande perdita perché faceva un eccellente lavoro. Altri hanno seguito il suo esempio, poi ci hanno ripensato e hanno ritirato le loro dimissioni. Il lavoro si è rallentato. Ma il gruppo si è più strettamente unito e abbiamo appreso come reagire senza commettere errori, senza dialogare con quella gentaglia.

Adesso dobbiamo trovare un altro coordinatore o coordinatrice del nostro gruppo d'amministrazione. Non è il tempo di prendere altre iniziative importanti. Tuttavia abbiamo lanciato una grande campagna di salute dando a tutti la possibilità di curarsi i denti e gli occhi. Tutte le bambine e i bambini saranno esaminati da una pediatra. Nora sta per finire il suo lavoro il prossimo mese e comunicherà i risultati della sua ricerca in un'assemblea in un posto gradevole nella campagna. Mimmo è arrivato da poco e sta elaborando i piani per una casetta in legno per i bambini della otto. Sarà costruita sulla grande terrazza trasformata in campo da gioco. Abbiamo avuto il piacere di una breve visita di Angelina e Nico, di Pinerolo, di Paola e Roberto di Piossasco, di Eloisa e Vincenzo di Modena.

 

La vita ha ripreso il suo corso come quello di un lungo fiume tranquillo.

 

Vi ho detto l'essenziale di questo primo mese, spero darvi notizie migliori il prossimo mese.

 

Vi abbraccio affettuosamente tutte e tutti,

 

Gérard alias Gerardo, o el abuelo (aio, lelo) o el viejo (non c'è più rispetto)