Le ricerche + Valentina Gori: Vissuti d’appartenenza e di perdita - gli oggetti d’affezione delle ragazze e dei ragazzi di strada di Città del Guatemala
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Presentazione
Questa tesi nasce, principalmente, con il proposito di avvicinarmi e di conoscere la realtà dei giovani di strada attraverso un viaggio di studio a Città del Guatemala e, al tempo stesso, un’esperienza di volontariato all’interno del MO.JO.CA. (Movimento dei giovani di strada), un’associazione Onlus che promuove e sostiene il protagonismo delle ragazze e dei ragazzi di strada.
Nel primo viaggio a Città del Guatemala, avvenuto tra luglio e settembre dell’anno 2004, oltre a partecipare come volontaria alle attività del centro sociale, ho iniziato a svolgere le prime interviste con i giovani del Movimento e a tracciare il disegno della ricerca. Suggerita dall’interesse di analizzare quanto, in una situazione d’estrema precarietà e di privazione materiale oltre che affettiva – quella rappresentata dalla condizione dei giovani di strada – sia possibile stabilire un legame affettivo con degli oggetti in particolare. Grazie al mio secondo soggiorno in Guatemala, compiuto tra marzo e maggio del 2005, ho potuto approfondire la domanda conoscitiva da cui partivo, in modo da avviare le fasi successive della mia ricerca.
Fin dall’inizio, mi aveva impressionato constatare l’effettiva precarietà e il degrado psicosociale in cui sono costretti a vivere ragazzi e ragazze di strada, abbandonati in uno stato di deprivazione assoluto, sia al livello materiale che relazionale, ai margini della società guatemalteca. Per molti giovani che vivono in strada, il senso del possesso, anche dei più semplici e comuni oggetti materiali, è schiacciato a tal punto dal senso delle necessità, da scomparire quasi completamente. Questa presa di coscienza, mi ha spinto ad indagare sul vissuto della perdita e a mettere da parte le idee preconcette che avevo incamerato sui concetti di “essere” e di “avere” insiti nella mia cultura. Ho cominciato a valutare in che modo la condizione di subalternità e di marginalità in cui si trovano i giovani di strada sia pesantemente connessa al benessere occidentale benché non siamo abituati a leggerli come fenomeni interdipendenti. Mi sono domandata come influisca, a livello emotivo, questa deprivazione; in che modo agisca sulla costruzione delle loro identità di genere e sulla definizione del proprio sé. Inoltre ho analizzato come dei giovani adolescenti riescano a sviluppare il senso d’appartenenza, fondamentale per la loro crescita, con sé stessi e con gli altri in un determinato spazio e contesto di vita: la strada. Attraverso i racconti e le storie di vita dei giovani intervistati, ho imparato che nella realtà della strada si può vivere con lo stretto necessario. L’essenziale è sentire di appartenere ad un gruppo, alla compagna o al compagno a cui si vuole bene e che rappresenta la propria famiglia “d’elezione”, dove esprimere un gesto di solidarietà con gli amici diventa prioritario a quello di soddisfare i bisogni primari e personali. Inizialmente mi è parso evidente che dei ragazzi abituati a lottare ogni giorno contro la precarietà delle proprie esistenze, attribuissero molta più importanza alle relazioni significative che instaurano con delle persone, piuttosto che al rapporto con degli oggetti, il quale, sembrava passare decisamente in secondo piano. In seguito, quando ho iniziato ad avvicinarmi e a conoscere meglio il vissuto personale dei ragazzi/e che stavano attraversando il processo di uscita dalla strada – una delle fasi più critiche e difficili – ho potuto constatare che in realtà degli oggetti c’erano nelle loro vite, e che, probabilmente, non erano legati solo alla dimensione del bisogno e delle necessità individuali ma a qualcos’altro. Ho cominciato a riflettere che forse, anche per questi ragazzi/e, usciti dall’instabilità della vita in strada, era importante custodire alcuni oggetti personali, ai quali, almeno una volta, avevano potuto affezionarsi e che conservavano ancora almeno nella memoria. Ho pensato che l’analisi del rapporto privilegiato con i loro oggetti personali potesse rappresentare un modo per conoscere le loro biografie, testimonianze privilegiate di un contesto culturale del tutto peculiare. Infine ho realizzato che alcuni oggetti per alcuni ragazzi/e, soprattutto per quelli usciti dalla strada, potessero rappresentare degli oggetti d’affezione, per altri invece degli elementi che essendo assenti erano dimostrazione concreta di un disagio e di una dimensione di deprivazione che andava indagata in modo più approfondito.
La ricerca si divide in tre capitoli principali. Nel primo capitolo ho esposto in una prospettiva antropologico-culturale, alcune teorie di riferimento che indagano la natura multiforme dell’oggetto. In questa prima parte, ho analizzato il diverso statuto assunto dagli oggetti nel mondo, intesi come depositari della nostra memoria collettiva e individuale. Ho reso visibili i processi economici e simbolici che attraversano le “cose” da cui siamo circondati, fino ad arrivare alla descrizione degli oggetti d’affezione, caratterizzati in primo luogo dal “loro appartenere e vivere dentro biografie” (Clemente, Rossi, 1999: 152). Secondo gli antropologi Clemente e Rossi un oggetto partecipa alla dimensione affettiva di una persona quando a partire da un’accurata descrizione dello stesso, diventa possibile intraprendere la narrazione di una storia di vita. Anche un oggetto che non è presente in modo tangibile per diverse motivazioni, perché è stato sottratto, si è consumato o semplicemente smarrito, può rappresentare un oggetto d’affezione. L’importante è che non esaurisca la sua valenza simbolica e mantenga vivido il ricordo, nella persona che un tempo l’aveva adoperato e custodito.
Nel secondo capitolo si delinea la situazione politica e sociale del Guatemala, in particolare mi sono soffermata sulla condizione dei giovani di strada, ricostruendo una cronistoria attenta del mio contesto di ricerca: il Movimento dei giovani di strada. In questo stesso capitolo ho presentato la metodologia della ricerca, analizzata secondo una prospettiva etnografica, la quale, si contraddistingue per la ricerca sul campo e l’osservazione partecipante. Oltre a questi strumenti d’indagine, per la mia analisi interpretativa ho utilizzato anche le interviste semi-strutturate e i colloqui informali condotti con i giovani del Movimento. In totale, ho raccolto le interviste di 10 giovani, 5 ragazze e 5 ragazzi, di età compresa tra i 14 e i 24 anni, oltre a quelle realizzate insieme ai testimoni privilegiati. Mi sono dedicata alla stesura del diario di campo e allo svolgimento di una pratica “alternativa” messa in opera dai giovani della ricerca, i quali, attraverso alcune macchinette fotografiche “usa e getta”, hanno avuto la possibilità di fotografare direttamente i propri oggetti d’affezione e in seguito di descriverli e di commentarli.
Nel terzo capitolo sono analizzati i nuclei tematici che evidenziano i differenti argomenti emersi nel corso delle interviste e che si trovano in stretta relazione al rapporto con gli oggetti e al vissuto di perdita e di appartenenza dei giovani intervistati. In particolare, ho preso in considerazione il rapporto di preferenza osservato con le fotografie, i disegni e gli oggetti ricevuti o scambiati in dono dai ragazzi e dalle ragazze del Movimento. Oltre a esporre un’analisi della pratica dei tatuaggi, molto diffusi tra i giovani di strada, ho sottolineato la differenza tra “maras” e bande di strada. Indagando il significato simbolico e relazionale attribuito a questo tipo di manipolazioni del corpo e quale funzione esercita nei confronti delle proprie scelte di appartenenza al gruppo dei pari. L’elaborazione delle interviste mi ha permesso di sviluppare una rappresentazione corale degli argomenti trattati come se fossero gli stessi soggetti intervistati a dialogare tra di loro, per questo, ho riportato insieme, evidenziandole tra virgolette, parti delle interviste sia dei ragazzi del movimento che dei testimoni privilegiati. Ogni commento tematico è stato realizzato fornendo un confronto tra le teorie di riferimento e le mie riflessioni personali, avendo riportato a questo proposito frammenti del mio diario di campo.
In ultimo, ho elaborato le conclusioni e ho raccolto nell’appendice la trascrizione letterale delle interviste realizzate sul campo. Nel complesso ho favorito una modalità trasparente di trascrizione, in cui le interviste, sia quelle integralmente riportate, sia quelle rielaborate, sono organizzate allo scopo di indirizzare il lettore verso i tratti rilevanti della ricerca e chiarire il contesto in cui si è svolta.