le ricerche + Giuseppe Fulco: DROGARSI PER VIVERE - Una ricerca con ragazze e ragazzi del movimento di strada a citta' del guatemala
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Presentazione
La mia prima conoscenza della vita di strada è avvenuta nell’estate del 2001 quando ho vissuto un’esperienza di volontariato internazionale a Città del Guatemala durata circa un mese e mezzo, periodo durante il quale lo shock del confronto con questa dura realtà ha lasciato lentamente il posto alle mie domande. Iniziai così a chiedermi le ragioni di questo fenomeno sociale, che portava i giovani di strada a consumare droga giorno e notte, fino al punto di abusarne e diventarne dipendenti e che spesso, per alcuni di loro significava anche la morte.
Mi domandavo dove fossero le loro famiglie e come fosse possibile che la società, vedendo queste persone giovanissime distruggersi, reagisse con l’indifferenza. Ipotizzavo che la droga svolgesse qualche funzione nella loro vita, ma non immaginavo quale: la mia mentalità occidentale non trovava risposte adeguate.
Col tempo, ho iniziato a comprendere che era proprio la mia prospettiva a non permettermi di capire questa drammatica realtà e, così, tornato in Italia, motivato a saperne di più e, nel mio piccolo, a fare qualcosa per non restare anche io indifferente a tale realtà, ho cercato di documentarmi e di colmare le tante lacune conoscitive che avevo al riguardo.
Le mie domande, i dubbi e le considerazioni varie su questo fenomeno, mi hanno spinto a maturare durante il corso degli studi di Psicologia, l’idea di ritornare per le strade di questa metropoli del centro America e di svolgere uno studio esplorativo sulla tossicodipendenza di strada che, dando voce ai protagonisti di questa realtà, permettesse attraverso le loro testimonianze, di accedere ad una maggiore comprensione della sottocultura delle droghe e della tossicodipendenza di strada.
L’obbiettivo della ricerca è stato quello di tentare di capire come il ricorso alle sostanze stupefacenti (legali ed illegali) permetta a questi giovani non solo di “sopravvivere” nelle difficili condizioni della realtà della strada ma, soprattutto, di “vivere” un’esistenza alternativa a quella frustrante ed opprimente del contesto sociale da cui si distaccano, preferendo la libertà della vita di strada e sognare un futuro migliore ricorrendo all’uso di droghe.
Attraverso lo strumento qualitativo delle storie di vita ho cercato di spiegare come nella vita dei giovani di strada, la droga, spesso abusata dalle figure di riferimento del contesto socio-famigliare da cui provengono, faciliti la transizione verso la strada.
Ho tentato di capire come il consumo ed anche lo spaccio delle sostanze stupefacenti siano funzionali nel processo evolutivo di questi giovani e li aiutino a costruire, mantenere e rafforzare la propria identità di giovani di strada. Ho voluto indagare come queste persone riescano a sfruttare, attraverso il ricorso alla droga, l’unica possibilità concessagli dal contesto sociale per sentirsi protagonisti del proprio tempo [Girardi 1990] e “trascendere” [Zoja 1985], seppur illusoriamente, l’emarginazione sociale vissuta.
Attraverso le osservazioni ho cercato, invece, di chiarire alcuni aspetti emersi dalle storie di vita, come le dinamiche relazionali sottostanti all’uso ed alla condivisione della droga nella banda di strada, per comprendere come queste siano funzionali ad avere l’“accesso” e la protezione della banda di cui si entra a far parte e come il consumo di droghe possa dare ai membri della banda un senso d’appartenenza, un’identità ed uno status riconosciuto nella sottocultura di strada. Ho provato a descrivere anche come la droga determini le gerarchie tra i membri del gruppo di strada, come essa faciliti la violenza agita all’interno della banda e come quest’ultima protegga i giovani dall’abuso eccessivo di droga ma, allo stesso tempo, ne ostacoli il processo di disintossicazione.
Intervistando vari testimoni privilegiati, infine, ho tentato di ampliare non soltanto la conoscenza della tossicodipendenza di strada data dalle tecniche qualitative suddette, ma anche di comprendere come i fattori sociali ed economici, quali l’assenza dello Stato e la stretta relazione che lo lega agli interessi del narcotraffico, incidano sul fenomeno preso in esame e non offrano ai tossicodipendenti di strada la possibilità di reintegrarsi socialmente.
Riguardo a quest’ultimo aspetto, ho voluto approfondire, in particolare, l’analisi del processo di “liberazione dalla dipendenza della droga e della strada” [Lutte 2001] emerso dalle storie di vita, descrivendo l’intervento del Movimento dei Giovani di Strada. Questo “centro d’accoglienza”, basandosi sulla filosofia dell’amicizia liberatrice, propone un’alternativa sociale non solo alla vita di strada ed all’uso di droghe, ma all’intera cultura coercitiva ed individualista del Paese.
Ho provato a descrivere come attraverso strumenti non terapeutici, quali attività di gruppo e gruppi di auto-aiuto, sia possibile, nel corso delle sei tappe del “processo di coscientizzazione e di formazione” del Movimento, che i giovani di strada imparino ad affrontare le difficoltà e le sfide della loro vita, sostituendo lo strumento “negativo” della droga con i valori “positivi” dell’amicizia liberatrice che si fonda sulla fiducia, la parità e il rispetto reciproco.