il progetto + APPROFONDIMENTI + 2004 - storia del movimento di giovani di strada del Guatemala

 

1 1993 SOGNARE  UNA ROSA PER FARLA NASCERE

2 1994: LAS QUETZALITAS

3 1995  PRIMI TENTATIVI DI FORMARE IL MOVIMENTO

4 1996:  IL MOVIMENTO COMINCIA A COSTRUIRSI  NELLA STRADA

5 1997: LA FONDAZIONE UFFICIALE DEL MOVIMENTO

6 1998: LA PRIMA CASA DELLE RAGAZZE E RAGAZZI DEL MOVIMENTO

7 1999:  APERTURA DEL RIFUGIO NOTTURNO

8 2000: CRISI DI CRESCITA E RILANCIO

9 2002- 2003: INIZIO DELLA COGESTIONE

 

1 1993 SOGNARE UNA ROSA PER FARLA NASCERE

 

La ricerca svolta nel ’93 aveva fatto nascere in me molte perplessità sul modo di agire delle associazioni che si occupavano dei bambini di strada in questo Paese, perché tentavano di reinserirle nella società tramite l'istituzionalizzazione. Le ragazze ed i ragazzi di strada venivano rinchiusi in  case-famiglia, dopo un certo tempo erano mandati a studiare in  una scuola o a lavorare; però le coppie erano separate, e per di più la pedagogia utilizzata in queste istituzioni non teneva conto dell'autonomia  dai ragazzi nella strada e voleva rieducarli subordinandoli agli adulti.  La maggior parte dei ragazzi e delle ragazze che entravano in queste istituzioni, dopo qualche tempo ne uscivano.

 

Per di più il metodo educativo, basato sull'autoritarismo, non faceva riferimento alla pedagogia della liberazione che caratterizza invece molte associazioni di bambine, bambini ed adolescenti di strada o lavoratori di strada in America latina. Avendo avuto la possibilità di conoscere ragazze e ragazzi di strada, di dialogare con loro, di vederli vivere e sopravvivere nella strada, ero convinto che erano capaci di organizzarsi e prendere in mano il loro destino, e che era possibile un’uscita dalla strada senza passare attraverso un'istituzione. Era nato in me il sogno di un’organizzazione autogestita delle ragazze e ragazzi di strada e di un’associazione per aiutare quelle e quelli tra loro che lo volevano, ad uscire dalla strada senza passare per case-famiglie.

 

2 1994: LAS QUETZALITAS.

 

Con questo sogno nel cuore, ho deciso di andare in Guatemala ogni volta che sarebbe stato possibile, due o tre volte l’anno. Nei primi giorni del 1994, una diciottenne ha firmato il primo “contratto” in cui era stipulato che avrebbe ricevuto cento dollari al mese per apprendere il mestiere di parrucchiera. In controparte, lei si impegnava a rinunciare alla droga  e alle  attività illegali, a studiare ed educare bene suo figlio.  Don Piero Nota, sacerdote piemontese, parroco nella periferia povera della capitale, rinomato per il suo instancabile impegno sociale  e il suo coraggio nel denunciare le ingiustizie e il genocidio, accetta la supervisone della ragazza, la aiuterà a superare momenti di sconforto e regressioni temporanee. Da allora, “Perito”, come lo chiamano affettuosamente le ragazze di strada è diventato il confidente ed il consigliere di molte di loro.

 

Quattro mesi più tardi, in aprile, due altre ragazze presero un accordo con me per uscire dalla strada. La prima, una tredicenne, ha avuto il coraggio di emigrare in Nicaragua per assicurare alla figlia che portava in grembo una vita migliore della sua. La seconda,  sorella del cuore della prima, di  un anno  più  grande, era una leader positiva nella strada, le ragazze la ascoltavano e si faceva rispettare dai ragazzi.  Pensavo che sarebbe potuta diventare un’ottima  guida delle sue compagne, a condizione di uscire dalla strada e di formarsi. Allo stesso modo di sua sorella, non sopportava la vita in una casa- famiglia. Non riusciva a rimanervi più di una settimana. Le proposi di venire in Europa per formarsi. Lei prese un mese di riflessione, poi, incoraggiata dall’ esempio della sorella, accettò il mio invito.  Abbiamo dovuto  lottare per mesi con un’ambasciata  per ottenere per lei il permesso di venire a studiare in Europa. Ai ricchi, invece, era rilasciato subito il visto e i trafficanti di esseri umani hanno meno difficoltà per fare entrare nell’Unione Europea le ragazze destinate alla prostituzione.

 

Così nasce  l’associazione “Las Quetzalitas” ( si pronuncia “Ketzalitas”), - o piccole quetzal - splendidi uccelli tropicali verdi con il petto rosso e una lunghissima coda, simbolo del Guatemala e della libertà, perché  non sopravvivono in gabbia. Mi è sembrato il nome più adeguato per le ragazze che hanno rinunciato alla sicurezza di una vita in istituzione e rifiutano di lasciare incarcerare i loro sogni e la loro libertà.

 

All'inizio, non avevo l'intenzione di fondare una nuova associazione, ma di aiutare le istituzioni esistenti a collaborare tra loro ed a lasciare uno spazio sempre maggiore al protagonismo dei ragazzi e delle ragazze. Però rapidamente mi resi conto che i responsabili delle istituzioni non avevano nessun’intenzione di cambiare i loro scopi ed i metodi per permettere ai ragazzi ed alle ragazze di strada di organizzarsi. Un progetto alternativo non poteva costruirsi che partendo da loro, con loro, in mezzo a questi spazi transitori, in questi gruppi sempre in movimento in cui crescono, si affermano o sono schiacciati, a volte stuprati, assassinati o distrutti poco alla volta dal solvente che inalano tutto il giorno per dimenticare fame, umiliazioni e paura.

 

All’inizio collaboravo  con l'istituzione "Solo para mujeres", meno burocratica di altre potenti associazioni,  che si occupava esclusivamente di ragazze di strada o di quelle che il giudice dei minori affidava alle sue case-famiglia.  Alcune ragazze di quest’istituzione firmarono un contratto, chi per studiare l’inglese, chi per fare un corso di specializzazione di parrucchiera, chi per imparare a suonare la chitarra. Era in questo caso che la direttrice della casa-famiglia prendeva la responsabilità della supervisione.

 

Ogni domenica, giorno di vacanze per gli educatori di strada, quando le case aperte chiudono le porte, riunivo le ragazze e andavamo insieme a mangiare  pollo, patate fritte con un gran  bicchiere di coca-cola al “Pollo Campero”. Finito il pranzo,  facevamo una passeggiata a un parco giochi o al giardino zoologico, a volte una gita all’ Oceano Pacifico o a un luogo turistico, Antigua o il lago di Amatitlán.  Trovavamo sempre un momento per discutere insieme di qualche problema, per parlare dei loro sogni.

 

In certe circostanze, ad esempio quando i gruppi dei giovani dei quartieri popolari organizzavano un festival di canti o di teatro, invitavo anche i ragazzi. Ogni gruppo preparava un canto, una piccola rappresentazione della loro vita. E a volte, la rappresentanza dei gruppi di strada a questi convegni raggiungeva le cinquanta, ottanta ragazze e ragazzi.  Non avevano  paura o vergogna a presentarsi come giovani di strada.

 

Nel frattempo, un’amica perugina, Francesca Ciammarughi, m’incoraggiò a creare in Italia una rete di solidarietà e di affidare a coppie, famiglie o gruppi, non solo il finanziamento di una borsa di studio, ma il patrocinio della ragazza, una specie di “adozione a distanza”. Aumentò così il numero delle ragazze che ricevevano una borsa e altre istituzioni  cominciarono a collaborare.

 

Presto sorsero problemi non previsti.  Molte  ragazze che ricevevano una borsa di studi, che sapevano di potere contare  sull’appoggio di amici in Europa, uscirono dalla casa-famiglia dove si trovavano.  Per di più, non tutte le persone incaricate della supervisione fecero prova della stessa correttezza delle responsabili “Solo para Mujeres”. Esisteva, poi, una contraddizione tra il nostro progetto che voleva favorire il protagonismo ed aiutare le ragazze a realizzare i propri sogni, e le organizzazioni che basavano la loro azione sull'istituzionalizzazione, la sottomissione agli adulti, la separazione rigida tra ragazze e ragazzi, il non riconoscimento  delle coppie e famiglie esistenti.

 

Per continuare questo progetto era necessario fondare un’associazione autonoma, tanto più se si voleva interessare anche le ragazze ed i ragazzi  che restavano nella strada.

 

3 1995  PRIMI TENTATIVI DI FORMARE IL MOVIMENTO.

 

Per formare un movimento, era necessario trovare persone preparate per orientare le ragazze ed i ragazzi di strada a formarsi; era anche necessario trovare un’istituzione giuridicamente riconosciuta che accettasse di rappresentarli in tutte le formalità richieste dalle leggi del Paese. Vari tentativi furono intrapresi nel '95-'96, in un primo tempo con la ODHA, ufficio dei progetti dell'arcivescovato, poi con la UMP, associazione culturale e sanitaria, che assicuravano la copertura giuridica.

 

René  Muñoz, un giovane uomo che aveva lavorato in un programma di prevenzione con ragazze e ragazzi di un quartiere popolare, tentò di avviare il progetto.  La prima tappa era di prendere   contatto con le ragazze e ragazzi di strada, di farsi accettare come amico. Però dopo un mese, René fu costretto all’esilio in Canada con la famiglia, perché minacciato dagli squadroni della morte per il suo impegnato con l’associazione dei rifugiati in Messico.

 

Prese il suo posto Juan Carlos Hernandez, responsabile di una casa di giovani in Alameda, quartiere popolare della città capitale. Nel tempo libero, Juan Carlos visitava i gruppi di ragazze e ragazzi di strada del centro storico. Eccellente animatore, aveva il contatto facile. Faceva cantare i gruppi della strada e li accompagnava con la chitarra. Era ben voluto da tutte le ragazze e ragazzi e  riuscì a mettere in piedi un inizio d’organizzazione. Con due ragazze di strada nominate responsabili, la Fina, leader del gruppo del parco Concordia, e Caia, una veterana della strada che faceva parte del gruppo della diciottesima strada, e con le quali svolse un'inchiesta sulla condizione dei giovani di strada con i gruppi principali della capitale.

 

Nel '95, sembrava che tutto fosse pronto per lanciare il movimento, tanto più che due organizzazioni non governative italiane, Terra Nuova e Capodarco, si erano proposte per chiedere  finanziamenti all’Unione Europea. Nel mese di settembre, alla fine di un soggiorno con un gruppo di studentesse della Facoltà di Psicologia dell’Università “La Sapienza” di Roma, abbiamo organizzato un'assemblea di tutti i gruppi della strada. Un coordinamento provvisorio, formato da delegati di tutti i gruppi, preparò quest’assemblea che si tenne in centro ricreativo presso il lago di Amatitlán. Vi parteciparono una sessantina di ragazzi e ragazze di strada. Alla vigilia della partenza, era stata concordata una tregua tra i gruppi del parco Concordia e del parco Centrale, che erano in guerra in quel tempo.

 

Il tema della giornata era la costituzione di un movimento autogestito delle ragazze e ragazzi di strada, le sue funzioni, la sua organizzazione. I ragazzi e la ragazze si sono divisi in gruppi per discutere le proposte. In assemblea hanno poi comunicato i risultati dei loro lavori e all’unanimità hanno deciso di formare il proprio movimento. Hanno anche eletto un coordinamento provvisorio e indicato le iniziative più urgenti da prendere: la difesa dei propri diritti soprattutto contro le violenze della polizia e delle guardie private, corsi d’alfabetitzzazione e di formazione professionale.

 

Purtroppo Juan Carlos si ammalò e le ragazze e ragazzi, privati di un animatore adulto capace di coordinare gruppi,  spesso rivali, non riuscirono da soli a portare avanti il progetto.  Dopo tante speranze, grande fu la frustrazione soprattutto delle e dei giovani che avevano maggiormente lavorato per costruire il loro movimento.

 

4 1996:  IL MOVIMENTO COMINCIA A COSTRUIRSI NELLA STRADA

 

Alla fine del mio soggiorno in Guatemala  in aprile del ’96, avevo quasi perduto la speranza di riuscire a formare un movimento con le ragazze e ragazzi di strada perché non trovavo le persone capaci e disposte a fare questo lavoro.

Anche il progetto delle Quetzalitas rischiava di sparire in assenza di una persona che potesse seguire le ragazze, incoraggiarle nei momenti difficili che non mancano quando si decide di uscire dalla strada.

 

A due giorni della partenza, un incontro fortuito nella casa parrocchiale del mio amico Piero Nota, permise invece di rilanciare su basi sicure il progetto del movimento. Due messicane, Ana Luz Zamudio Ledón ed una sua compagna, missionarie laiche comboniane, che volevano mettere la loro vita al servizio dei più poveri, avevano chiesto un appuntamento a Piero per studiare la possibilità di lavorare nella sua parrocchia.  Era l’occasione da non mancare: incoraggiato dal mio amico, feci loro la proposta di lavorare con le ragazze ed i ragazzi di strada.

 

Accettarono, e nei due giorni , misi le due  volontarie  in contatto con le ragazze e i ragazzi dei vari gruppi di strada e con alcune istituzioni. Non avevamo il tempo di elaborare un piano dettagliato d’azioni e le incaricai solo di seguire le Quetzalitas e di formare con loro un gruppo d’auto-aiuto. Riuscimmo a fare una prima riunione con loro.  Le Quetzalitas diventavano un’associazione.  Ma il lavoro principale che affidai a Lucy e a Olivia era di prendere contatto con le ragazze e ragazzi dei vari gruppi, di fare amicizia con loro, di ricominciare a parlare con loro della costruzione di un movimento autogestito.  Tutto fu deciso in quarantotto ore.  Non avevo ancora i soldi per assicurare alle due volontarie uno stipendio  e un minimo di finanziamenti per le iniziative che avrebbero preso, ma sicuro di trovarli.

 

5 1997: LA FONDAZIONE UFFICIALE DEL MOVIMENTO.

 

In pochi mesi,  Lucy e Olivia, in seguita sostituita da Anabela, erano riuscite a unire in un gruppo affiatato le quetzalitas, a farsi conoscere e accettare nei gruppi di strada del centro della capitale.  Era  giunto il tempo di uscire allo scoperto e di lanciare pubblicamente il progetto di movimento. In un primo tempo, abbiamo  tentato di coinvolgere nella fondazione del movimento tutte le organizzazioni che si occupavano dei ragazzi e delle ragazze di strada ed erano coordinate nel "Foro per la Protezione dell'Infanzia e della Gioventù di Strada". La responsabile, su richiesta di Ana Luz, detta Lucy, convocò una riunione su questo tema, durante la quale ebbi la possibilità di esporre le idee base del progetto.

 

Ben presto apparve evidente che l'idea di autogestione, di protagonismo delle ragazze e dei ragazzi di strada, era rifiutata dalle altre istituzioni, perché contraddittoria con le loro prassi.  Anche l’idea di un coordinamento delle attività, di elaborazione di strategie comuni,  di programmi congiunti per seguire le singole ragazze e ragazzi era rifiutata. Quindi,  l'iniziativa rimaneva alle sole ragazze e ragazzi, animati da Lucy ed Anabela, ed appoggiati dal CESPE, centro di pedagogia popolare che lavorava con le parrocchie della periferia della capitale.

 

Furono convocate  riunioni con rappresentanti dei vari gruppi del centro storico. In una di queste riunioni, le ragazze e i ragazzi,  dopo un dibattito in cui furono presentate varie denominazioni, hanno scelto il nome del loro movimento “Movimento de Jóvenes de la Calle”. Vari altri titoli erano stati proposti: movimento di bambine e bambini, di donne e uomini – i due termini espressi in tutte le varianti della strada e persino di “movimento italiano di giovincelle e giovincelli del nostro Paese”. Questo titolo, proposto dal gruppo del parco Colombo per riconoscenza alla solidarietà italiana, raccolse il maggiore numero di preferenze dopo quello scelto dalla maggioranza. Rifiutarono invece il titolo, proposto da noi adulti, “movimento de patojas y patojos de la calle”. “Patojas, patojos” sono termini tipici del Guatemala per designare le ragazze e i ragazzi.  Non dispiace loro essere chiamati affettuosamente con questi termini, ma non lo accettarono perché, ci spiegarono,  la gente li chiamava spesso in modo dispregiativo con questo nome. Già dimostravano la loro capacità di fare scelte autonome, diverse da quelle che a noi, adulti, piacevano.

 

L'idea di un movimento autogestito entusiasmava i ragazzi e le ragazze e quelli più grandi, del parco Centrale, in una riunione spontanea  senza la presenza di adulti, nominarono due loro rappresentanti, decisero di comprare quaderni e penne, e da soli iniziarono già i corsi di alfabetizzazione. Quest’iniziativa fu in seguito appoggiata  dalle accompagnatrici del movimento, da un sacerdote italiano comboniano, padre Gabriele Perfetti e dal CEPSE, in particolare da René Corsero. Un gruppo sempre più numeroso di volontarie e volontari si formava per appoggiare il movimento nascente. La UMP, in modo particolare Jervin Justiniano, si incaricava dell'amministrazione.

 

Una donna, finora sconosciuta, accettò di prestare  l'entrata della sua casa di fronte al palazzo presidenziale come classe. Erano gli stessi ragazzi di strada che avevano studiato più a lungo, spesso fino alla fine della scuola media, che impartivano le lezioni tre volte la settimana. L'iniziativa fu persino  riconosciuta ufficialmente da un’istituzione di alfabetizzazione con la validazione dei titoli di studio. Le accompagnatrici organizzavano dibattiti sui temi della salute, dell'igiene, con la partecipazione di un’amica medico. Anche i responsabili della cattedrale, che si affaccia sul parco Centrale, prestavano un locale, per qualche ora la settimana, dove si alternavano i gruppi per discussione e riunione.

 

Purtroppo, varie retate della polizia in cui cascarono alfabetizzatori e alunni, mise fine a questa prima esperienza autogestita.

 

6 1998: LA PRIMA CASA DELLE RAGAZZE E RAGAZZI DEL MOVIMENTO

 

Le attività erano sempre più numerose, però non era facile trovare quando era utile o necessario, un locale per fare le riunioni. Inoltre il lavoro era tanto, affidato a sole due donne che lavoravano a tempo pieno, e si sentiva la necessità della presenza di uomini, perché il lavoro di strada è pericoloso. E così, nell'aprile del 98, furono assunti due giovani accompagnatori: Estuardo Sinay Hernandez e José Callejas. Si cominciava a sentire la necessità di una casa propria, per evitare di perdere il tempo a cercare una stanza di qui e lì per le attività, ma anche per rendere visibile il movimento, dare alle ragazze ed ai ragazzi la propria casa.

 

All'inizio del mese di maggio, si trovò una casa adatta nel centro della città.  Stava in uno stato scadente, e furono gli stessi ragazzi e ragazze, sotto la guida di un falegname ed  di un muratore, a rimettere in sesto la casa. Un gruppo di una ventina arrivava ogni mattina, dopo la colazione lavorava per quattro ore. Ricevevano un pasto abbondante e nel pomeriggio facevano attività varie. Fu assunta  una nuova  accompagnatrice, Mirna Solorzano, con il compito di occuparsi soprattutto della casa. Il gruppo di studentesse di psicologia dell’Università di Roma hanno partecipato con le ragazze e i ragazzi a ristrutturare la casa. Il lavoro ha permesso a due coppie di  entrare nel processo di uscita della strada: Ana e Luis, detto “pantera”e il loro figlio Anthony, e Wendoly e Oscar. Ma anche altri giovani, senza uscire dalla strada, sono  venuti in modo regolare.

 

Grande era la gioia dei ragazzi di avere la propria casa.  “Un giorno, - ci racconta Billy - era di lunedì verso le dieci del mattino, stavo seduto in un parco quando accompagnatori si sono avvicinati a me e mi hanno parlato della casa. Mi sembrò importante e andai alla casa e abbiamo iniziato a restaurare porte e muri a dipingerli e a riparare tutto ciò che non funzionava.

Con il tempo la casa ha migliorato. Ad esempio, prima non avevamo acqua a sufficienza, ma ora abbiamo un nuovo serbatoio. Per di più, ora riceviamo corsi di cucina, di pronto soccorso, di chitarra. Discutiamo di vari argomenti e facciamo molte cose che prima non si facevano. Vorrei spiegare il resto, ma per il momento non riesco a farlo. Però si venite qui vedrete che bellezza la nostra casa!”.

 

Ogni sabato, la casa era aperta a tutti i ragazzi ed alle ragazze di strada, per attività formative. Avevano la possibilità di fare la doccia e di lavare i loro vestiti. Preparavano loro stessi la colazione e il pranzo. A volte erano più di cinquanta a partecipare a queste riunioni.

 

La domenica la casa era riservata alle riunioni delle Quetzalitas. Finita la casa nel mese di dicembre del 1998, fu aperta una cucina, che permise di fare corsi di cucina e di preparare in casa un'alimentazione abbondante ed a buon mercato. Furono ripresi i corsi di alfabetizzazione, di disegno, di elettricità, di teatro e di chitarra. Allo stesso tempo continuava il lavoro di sensibilizzazione nella strada.

 

 Il primo maggio, per la prima volta nella storia del Guatemala, le ragazze e ragazzi di strada hanno partecipato alla manifestazione delle organizzazioni sindacali, indigene e popolari. Eravamo stati collocati dagli organizzatori tra i sindacati e i partiti di sinistra, come a significare che tutte le organizzazioni popolari devono preoccuparsi della parte più debole del popolo. Le organizzazioni hanno accolto bene il movimento dei giovani di strada, lungo il corteo, durato dalle otto alle dodici del mattino, vari gruppi che  guardavano passare la manifestazione, hanno applaudito il gruppo del movimento, che è stato fotografato molte volte, filmato, alcuni giovani sono stati intervistati. Il movimento di giovani di strada si è ufficialmente presentato al movimento popolare di cui fa parte.

 

Dopo la manifestazione, finita nel parco centrale di fronte al palazzo presidenziale,  siamo andati all’ippodromo, luogo di incontro dove ci sono giostre, baracche dove si può mangiare e bere, parchi giochi, campi sportivi ecc.. Ci siamo fermati da Mayra, Heiddy e Edwin, ex-giovani della strada: Mayra e Heiddy fanno parte delle quetzalitas. Affittano una baracca, vendono bevande, granite e carne alla griglia. Stanno costruendo una casetta in un burrone. Mayra con la sua abituale generosità ha accolto Heiddy in casa.

 

7 1999:  APERTURA DEL RIFUGIO NOTTURNO

 

Alla fine del ’98, i meteorologi fecero la previsione di un mese di gennaio particolarmente freddo. La predizione era sbagliata, ma doveva cambiare molto il movimento. In una riunione del coordinamento delle associazioni di bambini di strada, fu discusso questo problema. La soluzione proposta era di  aprire le case come rifugio notturno. Solo il Movimento di Giovani di Strada si dichiarò disposto ad aprire un rifugio notturno. Fu assunto a metà tempo, un nuovo accompagnatore, Juan Carlos Alvarado. Tutte le attività furono gestite dai ragazzi stessi: controllo dell'entrata (per non lasciare passare gente malintenzionata o droghe di vario tipo); acquisto dei prodotti e preparazione del pasto della sera e della colazione della mattina, distribuzione di materassi e coperte, pulizia della casa.

 

Era stato previsto che il rifugio sarebbe stato aperto solo per due mesi, ma alla fine di quest'esperienza, le ragazze ed i ragazzi adunati in assemblea, chiesero agli accompagnatori di continuarla  in modo stabile. Furono organizzate  assemblee per preparare meglio l'iniziativa che fu ripresa. Un rifugio notturno è molto importante perché permette ai ragazzi ed alle ragazze di essere lontane dai i pericoli della notte: il freddo, la pioggia, la droga, i pedofili e gli stupratori. Il rifugio permette anche di avere una buon’alimentazione, la sera come a colazione, e di ricevere le cure di salute necessarie.

 

Le ragazze e i ragazzi sono stati capaci di assumere un maggiore impegno organizzativo. Ogni settimana si formano gruppi incaricati di preparare la cena e la prima colazione, di vigilare affinché non entrino droghe, di distribuire  materassi e  coperte, di fare le pulizie, di svegliare le loro compagne e compagni, di lavare e riordinare piatti e bicchieri e altre cose del genere.

 

Hanno deciso le norme di funzionamento, prima di iniziare, e loro stessi decidono le sanzioni per chi non le rispetta. La media dei presenti oscilla tra i 35 e i 40, senza contare i bimbi che vengono con le loro madri.

 

In aprile, le ragazze e ragazzi hanno cominciato a difendere i loro diritti in modo esplicito, denunciando ai mezzi di comunicazione le aggressioni  degli studenti dell’università San Carlos. Ne hanno parlato alla tv, hanno convocato una riunione con il “Forum di Difesa dell’Infanzia e Gioventù della Strada”, che comprende delle organizzazioni governative e non governative. Era la prima volta che ragazze e ragazzi partecipavano alla riunione del coordinamento delle loro associazioni. Hanno parlato a nome delle loro compagne e dei loro compagni e sono stati ascoltati dagli adulti che finora avevano sempre parlato a loro nome. Poi hanno convocato una riunione con l’Associazione Studentesca dell’università San Carlos, il coordinamento e la stampa.

 

Dopo hanno preso varie iniziative. Hanno invitato membri di Medici senza Frontiere a lavorare con loro. Fanno un corso dei primi soccorsi, un laboratorio di teatro, un’esposizione di foto che hanno fatto. Furono tutte iniziative loro.

 

Ad aprile del '99, un altro passo importante fu compiuto: il riconoscimento giuridico del movimento, che permetteva l'autonomia amministrativa e la possibilità di ricevere direttamente, senza dovere dipendere da altre organizzazioni, sovvenzioni dell'Unione Europea o da ministeri dei Paesi europei. Nel consiglio provvisorio di amministrazione, in attesa che i ragazzi e le ragazze siano preparati per prendere in mano il loro movimento, sono presenti quattro ragazze ed una ragazza di strada, tre volontarie e due volontari e tre accompagnatrici e due accompagnatori. L’associazione giuridica tuttavia è solo uno strumento del movimento.

 

I progressi nella coscientizzazione e dei giovani e nella loro responsabilizzazione si possono evidenziare dalle testimonianze seguenti:

 

Circa quaranta giovani partecipano con serietà

 “A voi tutti che ci date una mano un cordiale saluto. Grazie a voi e al nostro impegno il movimento si sta sviluppando. All’inizio, pochi giovani s’impegnavamo, ma ora ci sono giovani di tutti i gruppi della strada che partecipano attivamente.

 

Molti cambiamenti si sono verificati da quando avevamo iniziato con corsi di alfabetizzazione in cui noi stessi eravamo gli insegnanti. Poi tutto fu distrutto dalle retate della polizia. Ma adesso, grazie a Dio, abbiamo ripreso i corsi e iniziato altre attività di formazione, curiamo l’igiene personale, vediamo come continuare gli studi. Siamo molto entusiasti del movimento che ci insegna molte cose buone, in particolare come organizzare noi stessi. 

 

Il movimento ci piace molto perché siamo noi che programmiamo e realizziamo le attività. Ad esempio, recentemente abbiamo organizzato un minicampionato di calcio: alcuni erano incaricati di invitare i compagni di tutti i gruppi, altri del pallone, altri ancora dell’alimentazione. Adesso abbiamo aperto un rifugio notturno, alcuni sono incaricati della pulizia, altri di preparare la cena e la colazione, altri di ripartire i materassi e le coperte, altri di vigilare per non fare entrare droghe. Circa quaranta giovani partecipano con serietà alle attività del movimento.

 

Durante la settimana a turno i gruppi si  radunano per discutere come va il movimento, le attività che possiamo realizzare. Grazie a Dio, tutto va bene e ognuno di noi continuerà ad andare avanti per dimostrare che siamo capaci di vivere come gli altri, senza vizi e problemi, di lavorare per assicurare un buon futuro ai nostri figli, che non debbano soffrire ciò che abbiamo vissuto”.

                                                                                   William Rolando

Sono la responsabile della pulizia

 “Siamo del gruppo della “Parroquia” (nome di un quartiere) e ci raduniamo nella casa il venerdì e un altro giorno dove ci occupiamo soprattutto di igiene personale. Tutto funziona molto bene. Io mi chiamo Alma e ho voluto essere la responsabile della pulizia personale: vogliamo che tutti  siano sempre ben puliti, così la gente non sa chi siamo e non ci  giudica. Veniamo alla casa il mercoledì e io controllo che non entri droga  e vigilo per evitare qualsiasi altro problema. Poi tutti fanno la doccia, lavano i loro panni, mangiano qualcosa e tengono pulita la casa. Il venerdì, il nostro giorno di attività e di riflessione, abbiamo anche il tempo per l’igiene, così siamo ben puliti e non ci ammaliamo. Viene una dottoressa che ci fa lezioni di salute e grazie a lei molti sono guariti, tra gli altri un compagno che aveva funghi ai piedi. Contiamo con il vostro aiuto per poter continuare queste attività di formazione”.

   Alma Veronica

Godere della sicurezza di un tetto

 “Io sono incaricato di ripartire materassi e coperte per la notte. Ogni gruppo, del parco Centrale. Colombo, della Parroquia,  del San Juan de Dios e della diciottesima strada, ha la sua stanza. Per me e i miei compagni avere un rifugio nel movimento significa molto: non avere freddo, godere della sicurezza di un tetto e  mangiare.  Siamo contenti e ringraziamo, anche perché ci sono ragazze con i loro figli. Che Dio vi benedica! A tutti i miei saluti. Speriamo di andare avanti perché sappiamo che il rifugio chiuderà”

 Jorge Luis

 Mi sento nella mia casa

“Io sono Johana e faccio parte del movimento. E’ una buona idea  avere aperto un rifugio, così possiamo riposare un poco, non dobbiamo dormire  nella strada e possiamo dimenticare le droghe.  Mi sembra buono perché ci aiuta a ricordare cose della nostra infanzia, buoni ricordi della maestra quando si cominciava a studiare. Io mi sento molto felice qui, come se non fossi nella strada,  ma nella mia casa. Tutto questo lo dobbiamo a voi e vi ringrazio molto e anche mio figlio”

Johana

Lo studio per me è molto importante

“Io mi sento molto felice di stare qui, condividendo con i miei amici. Grazie a voi posso studiare i lunedì, mercoledì e venerdì dalle 4 alle sei del pomeriggio. Per me è molto importante perché senza lo studio non posso fare nulla.  Mi piacerebbe di aver potuto scrivere questa lettere con la mia mano e lo farò quando potrò scrivere bene. Desidero continuare a studiare e mi sentirò molto felice quando sarò riuscito a finire gli studi”

 Neftali

8 2000: CRISI DI CRESCITA E RILANCIO

Una cronaca delle tappe della breve storia del movimento può apparire trionfalistica. Non sono mancate  tuttavia le difficoltà, le crisi, le regressioni. Non è facile costruire un movimento affidato alle ragazze e ragazzi di strada che fanno uso di droga, che arrivano per le attività di formazione senza avere dormito durante la notte. Spesso le retate della polizia, gli arresti arbitrari, il carcere, distruggono in poco tempo il frutto di mesi di sforzi. Ne escono amareggiati, demotivati, spesso aggressivi.  A volte sono quasi tutti gli insegnanti della strada che sono arrestati e finisce l’alfabetizzazione. O un gruppo con il quale si lavora da un mese è smantellato da una setta.

Le ragazze e i ragazzi vivono una vita instabile, a volte entrano per qualche mese in una casa famiglia, a volte tentano di reinserirsi nella propria famiglia. Quelli più coscientizzati possono decidere di uscire dalla strada. Non è sempre facile per le accompagnatrici e accompagnatori adulti promuovere la partecipazione dei giovani, il loro protagonismo, rinunciare ai loro privilegi, alla tentazione di autoritarismo, all’adultocentrismo. Possono quindi sorgere conflitti con le ragazze e i ragazzi.

La transizione da un metodo autoritario, fondato sul potere del più forte, che è l’unico che le ragazze e ragazzi di strada hanno conosciuto nella propria vita, a un metodo democratico è alquanto difficile e dall’esperienza che ho fatto più volte nella mia vita con gruppi di adolescenti passa inevitabilmente per una fase di anarchia negativa, durante la quale, una parte almeno delle ragazze e ragazzi, tentano di approfittare della situazione. Nella strada poi,  approfittare delle occasioni è una necessaria tattica di sopravvivenza.

La prima grave crisi di crescita del movimento scoppiò negli  ultimi giorni di dicembre del ’98. Per due giorni di seguito, i responsabili del rifugio non si presentarono. Giustamente esasperati, i giovani forzarono la porta e nessuno avrebbe potuto far loro rimproveri se non avessero anche rubato tutto quello che poteva essere rubato. Lucy, la coordinatrice stava facendo le sue vacanze in Messico. Gli accompagnatori rimasti, impauriti, decisero di chiudere la casa, privando del rifugio anche le ragazze e ragazzi che non avevano partecipato all’episodio.

Poco prima era stata comprata una casa che doveva essere ristrutturata e non era ancora attrezzata per servire di rifugio.  Fu accelerato il trasloco alla casa nuova  che i ragazzi ancora non conoscevano. Il conflitto, in un primo tempo, provocò meccanismi di difesa negli accompagnatori e accompagnatrici. Ma, con il tempo, iniziò un processo di revisione del lavoro fatto, di profonda rimessa in questione non solo delle attività finora svolte, ma anche delle singole persone, delle loro motivazioni, delle loro capacità di svolgere un lavoro indirizzato a promuovere il protagonismo dei giovani.

Nel mese di maggio, abbiamo avuto una riunione di tre giorni fuori dalla capitale durante i quali fu possibile giungere alla coscienza  che le attività svolte nei mesi precedenti non rispondevano alle necessità vitali delle ragazze e ragazzi di strada e che erano inadeguate a promuovere il loro protagonismo. Continuando come prima si rischiava di rimanere una organizzazione dominata dagli adulti, un movimento per i giovani, non dei giovani.

Il momento era difficile perché era chiaro che non si poteva continuare come prima ,però non era chiaro cosa si doveva fare per rifondare il movimento. Fu quindi deciso che i prossimi mesi dovevano servire alla formazione degli accompagnatori e del gruppo delle ragazze e dei ragazzi più preparati. Furono organizzati programmi di formazione teorica e pratica, il primo mese con esperti guatemaltechi, il secondo con una ragazza, un ragazzo e un adulto del MANTHOC, movimento peruviano di bambini e adolescenti lavoratori di strada, fondato sul protagonismo dei bambini e giovani. Nei mesi successivi, le accompagnatrici e accompagnatori hanno dedicato buona parte del loro tempo ad approfondire la loro analisi e a rielaborare un piano d’attività e la metodologia per raggiungere l’obbiettivo fondamentale del movimento: il protagonismo dei giovani.

Allo stesso tempo le numerose volontarie, animate da Patty De Block, continuavano i corsi di produzione d’oggetti artigianali. Nel mese di agosto, le studentesse italiane e un tirocinante in psicologia hanno condotto con gruppi di ragazze e ragazzi un’inchiesta sulla vita in strada.  Alla domenica, si facevano sempre attività con i gruppi di strada, si prendeva contatto con gruppi nuovi e le  quetzalitas non hanno mai smesso di riunirsi. Due giovani studentesse della campagna povera del Guatemala, Carmen e Natalia, che studiano grazie a borse di studio, lavorano come volontarie in queste attività tutte le domeniche.

Il gruppo delle Quetzalitas, in questo tempo di crisi,  faceva notevoli progressi, dimostrando di essere già pronto ad autogestirsi. L’avevo  notato gli anni precedenti, partecipando alle loro riunioni, ascoltando i loro interventi sui temi della condizione femminile, la violenza degli uomini, la maternità, l’educazione dei figli. Ma più delle parole era la loro vita a dimostrare la loro maturità.  Ora sono quasi una ventina con le aspiranti (Carolina, Wendoly, Lety, Mayra Cr.,) che, per diventare socie effettive, dovranno trovare un lavoro e rinunciare in modo definitivo alla droga.

Le socie (Mayra, Ana Maria, Vilma, Jeaneth, Glenda, Mirna, Tona, Lina, Silvia, ecc.) si radunano ogni quindici giorni in un gruppo d’auto-aiuto. La maggiore parte ha uno, due o tre figlie o figli. E’ per loro che sono uscite dalla strada, è per loro che continuano a lottare, malgrado i salari di fame che ricevono nelle fabbriche, dove lavorano a volte fino a dodici ore il  giorno. Ana Maria lavora in una fabbrica di scarpe e guadagna 700 quetzales il  mese, meno di cento dollari. Il fitto per una misera camera senza acqua le costa 300 quetzales al mese , il resto serve per la sua sopravvivenza e quella dei suoi due figli… Mayra è orgogliosa, perché con il suo lavoro di venditrice ambulante di coperte che va a comprare in Messico, è riuscita a costruirsi una casetta in blocchi di cemento all’entrata di un burrone.Tutte vivono sole. Molte si sono separate da un compagno violento o traditore.  Lottano con coraggio contro il maschilismo per difendere la loro dignità di donna. Sono madri amorose e si sacrificano per i propri figli che sono sempre ben curati. I giorni di riunione la casa è piena di bambini.

I notevoli progressi fatti dalle ragazze e ragazzi in questi anni si è manifestato in due circostanze solenni nei mesi scorsi. Il 30 agosto, di fronte ad ambasciatori, funzionari del governo, magistrati, uomini di chiesa, rappresentati di organizzazioni non governative, giornalisti della stampa e della TV, sono stati presentati  “il piano governativo a favore dell’infanzia e gioventù di strada” e l’8 ottobre, nella cattedrale, uno studio sulla situazione della fanciullezza e gioventù in Guatemala.  Per la prima volta  tre giovani hanno preso la parola,  tutt’e tre del nostro movimento: Jeaneth nella cattedrale, Wendoly e Raúl, un ragazzo nero proveniente della costa pacifica, nella sala di un ministero. Il protagonismo dei giovani, idea base del nostro movimento, si è manifestato pubblicamente.

Con naturalezza e convinzione e non senza emozione, hanno pronunciato discorsi chiari, esigenti, che manifestano la dignità delle ragazze e ragazzi di strada. “ Noi, ragazze e ragazzi di strada, ha detto Wendoly, speriamo che il governo mantenga i suoi impegni, che non siano le solite menzogne o parole al vento… Non vogliamo più soffrire le aggressioni della polizia. Non vogliamo che altri decidano della nostra vita. Abbiamo bisogno di  programmi adattati al nostro modo di vivere. La droga ci rende incostanti, ma vogliamo proseguire nei nostri sforzi e realizzare i nostri sogni. Possiamo apprendere un mestiere per trovare un lavoro ed una vita migliore. Molti tra noi non sanno scrivere e leggere, abbiamo bisogno di programmi per studiare. Non vogliamo più che la polizia continui a strapparci i nostri bambini e vogliamo programmi che ci aiutino a allevarli bene, a dare loro il necessario per una vita decente”.

L’apporto del movimento al piano del governo, (che rischia di rimanereuna pura operazione  pubblicitaria se non vengono attribuiti finanziamenti per metterlo in pratica) è stato fondamentale per due punti: la non istituzionalizzazione e la partecipazione attiva dei giovani alle decisioni e attività che li riguardano.

Jeaneth ha parlato nel nome delle sue compagne quetzalitas per dire che èpossibile uscire dalla strada, se si incontrano persone che danno fiducia e che rispettano la loro dignità. Le quetzalitas sono unanime nel dire che non sono i soldi che le hanno aiutate a uscire dalla strada, ma la fiducia loro dimostrata, anche da lontane amiche ed amici.

Ora la casa è ristrutturata, il piano “strategico” elaborato. Le attività sono riprese sulla strada e nella casa, la speranza è rinata. Non rinunceremo al nostro sogno di movimento autogestito. Sbaglieremo ancora, ma sempre ricominceremo, sicuri di raggiungere il nostro scopo perché abbiamo fiducia nelle ragazze e ragazzi di strada, perché crediamo nei loro sogni e nei loro valori, perché sappiamo che il loro contributo è indispensabile per costruire una società basata sull’amicizia.

 

9 2002- 2003: INIZIO DELLA COGESTIONE

 

La strada cambia di continuo. E’ lo specchio della società guatemalteca ed internazionale.  Il Guatemala è all’onore in tutte le classifiche mondiali: è nel plotone di testa dei paesi più corrotti, di quelli in cui i diritto umani sono maggiormente violati, in cui le banche ricicliamo i proventi del narcotraffico, in cui è più diffusa la violenza. Persino il Dipartimento di Stato degli USA ha denunciato la corruzione del governo di Portillo e i suoi legami con generali implicati nel traffico delle droghe. Si sta strutturando una nuova classe dominante composta da alti ufficiali, da trafficanti di droghe, sequestratori, trafficanti di macchine rubate e da opportunisti che approfittano dei posti di potere che occupano nei ministeri, nelle amministrazioni comunali, nelle imprese di comunicazioni, di lavoro pubblici, per arricchirsi il più possibile nel meno tempo possibile. Per vincere le elezioni del prossimo anno, nelle quali vogliono candidare alla presidenza della Repubblica, il famigerato dittatore genocida, il generale Efraim Rios Montt, il presidente ha promesso un risarcimento ai membri delle pattuglie di autodifesa civili, ufficialmente sciolte dopo la firma degli accordi di pace perché colpevoli di innumerevoli violazioni dei diritti umani: stupri, torture, assassini, massacri. Questa promessa elettoralista ha provocato la riorganizzazione di  queste associazioni a delinquere. Il paese è piombato in un clima di terrore che ricorda il tempo delle dittature militari. I bilanci della Sanità e dell’Istruzione vengono ridotti mentre si aumento quello dell’esercito.

Cresce la miseria e diventa molto più difficile uscire dalla strada perché non si trova un lavoro e perché le misere camere vengono affittate a prezzi esorbitanti. Anzi ci sono ragazze, che da anni erano uscite dalla strada, che vi ritornano perché per loro è più facile vivere in strada che fuori.

La repressione più feroce, ora delegata a sette religiose o a “delinquenti comuni” - ciò che permette al governo di presentarsi come non colpevole di fronte alle associazioni di Diritti umani - ha fatto diminuire in modo drastico il furto come mezzo di sopravvivenza. Sono anche in forte diminuzione, probabilmente a causa della paura dell’AIDS, le prestazioni di servizi sessuali. Per trovare i soldi necessari per la droga e le loro necessità vitali, ragazze e ragazzi ricorrono ora alla mendicità. Cambia il loro status, i luoghi dove vivono, il loro modo di vestire, la loro igiene personale. Assomigliano sempre di più al cliché dei bambini di strada: sporchi, con i vestiti logori e sempre sotto l’effetto della droga. Sono anche più indifesi, facili prede per chi vuole approfittarsi di loro o ucciderli. Il lavoro di strada diventa allo stesso tempo più difficile e più urgente.

 

Un progetto di movimento autogestito dalle stesse ragazze e ragazzi di strada  incontra molti ostacoli oggettivi e soggettivi, anche negli adulti che non facilmente rinunciano al loro potere. Fu necessaria la rinuncia di alcuni educatori per permettere ai giovani di partecipare alla gestione del loro movimento.

 

Finalmente, il 17 agosto scorso, l’ASSEMBLEA DELLE RAGAZZE E RAGAZZI DEL MOVIMENTO ha eletto il COORDINAMENTO DEL MOVIMENTO,    incaricato di mettere in pratica quanto deciso dall’assemblea.

Nel coordinamento ci sono quattro ragazze e tre ragazzi: Jeaneth, presidente, coordina le attività con Fernando, coordinatore dell’equipe tecnica;  Wendy, vicepresidente, Lorena e Silvia lavorano con Patty, accompagnatrice, nella formazione delle ragazze, la formazione professionale e il reinserimento sociale; Cesar è incaricato con René della formazione umana e professionale dei ragazzi; Carlos, detto Pochis, è incaricato con Mario del settore nevralgico dell’istruzione; e infine, Byron lavora con Mayra e Emanuele, con i veterani, ossia con i giovani di strada che hanno più di 22 anni per loro.  Negli organi incaricati di coordinare le attività (amministrazione e programmi educativi) i  giovani  (10 su 15) e le donne  (9 su 15) sono la maggioranza.

Inoltre, le quetzalitas ed i gruppi di produzione sono già autonomi.

 

LE PRIME INIZIATIVE

Un seminario di tre giorni con Giulio Girardi ricorda a tutti, in particolare ai neoeletti, che il nostro movimento è espressione dell’AMICIZIA LIBERATRICE e fa parte del movimento mondiale alternativo alla morte neoliberale.

Dopo giorni di lavoro di gruppo, l’assemblea delle ragazze e ragazzi decide le norme della vita in casa e le misure, che privilegiano il dialogo e la comprensione,  da adottare con chi non le osserva. Viene soppressa la perquisizione all’entrata in casa per impedire l’introduzione di droghe.

Iniziano i contatti con altre associazioni alternative e un intercambio di 15 giorni con associazioni giovanili in Nicaragua.   

  

Emanuele Tacchia ha vissuto questi profondi cambiamenti nel movimento durante un volontariato di sei mesi con il movimento. La descrive in questi termini:

“Quella sensazione di volti già visti, di sole forte e hola che costellano l’arrivo è svanita quasi subito per far spazio al duro lavoro di strada. Quello che segue sono alcuni appunti, alcune considerazione sui sei mesi passati a lavorare al “Movimiento de Jóvenes de la Calle”.

Dopo alcune ristrutturazioni dei programmi e dei ruoli all’interno dell’equipe di lavoro, il Movimento è orientato verso una maggiore partecipazione dei ragazzi e delle ragazze alla gestione della propria associazione, circa venti tra ragazze e ragazzi sono avviate verso la formazione per una futura e completa gestione del movimento. Nella strada si sta ampliando l’organizzazione dei gruppi di ragazzi e ragazze perché possano difendere i loro diritti e si è potenziato il lavoro di coscientizzazione attraverso una maggiore frequenza delle attività presso i gruppi.  

Questo tipo d’intervento si scontra con le poche, pochissime risorse che offre la società guatemalteca in termini di possibilità di lavoro, diritto all’educazione, alla salute e una scarsa sensibilità alla difesa dei diritti umani in un contesto violento e repressivo. Le politiche imperialiste, che proseguono il saccheggio in queste terre imponendo un neoliberismo selvaggio che aumenta sempre più il divario tra i chi ha tutto e chi ha bisogno di tutto e che causano emarginazione e brutalità, sono una delle principali fonte di difficoltà all’esecuzione dei programmi del progetto.

Legato all’educazione come pratica della libertà, che cerca di dare potere agli esclusi affinché possano prendere decisioni per poter essere persone autonome, è il concetto di coscientizzazione che porta gli ultimi e i dimenticati all’emancipazione e vede il tutto come un processo di liberazione. La pedagogia dell’oppresso vuole che l’educazione, attraverso una partecipazione attiva e consapevole, porti l’escluso ad analizzare e lottare contro le cause della propria esclusione. Non si limita a una semplice acquisizione di conoscenze ma include anche l’impegno per il cambio attivo della società. Una delle sfide principali è proprio quella d’infondere a dei ragazzi e delle ragazze da sempre ai margini della società e con bassa autostima, la fiducia necessaria a cambiare la loro vita per iniziare un cambiamento della società. Questo processo di fiducia in loro stessi e nelle loro capacità  ha preso una forma più articolata e sostanziale il 17 agosto del 2002 quando fu eletta dai ragazzi/e dei diversi settori del movimento un nuovo coordinamento che si è affiancato al già esistente coordinamento degli accompagnanti. La loro funzione è quella di partecipare a tutte le attività formative, ricreative e lavorative degli accompagnanti; sia nella progettazione che nell’esecuzione dei programmi e delle attività, nella strada e nel Centro Sociale che il Movimento attua. Si è così iniziato la tappa della co-gestione che, come dice la parola stessa, significa gestire con. In questa fase i ragazzi e le ragazze del Movimento elette dai loro compagne/i gestiscono con gli accompagnanti tutti i programmi del progetto acquisendo l’esperienza necessaria per autogestire in futuro il Movimento in maniera completamente autonoma. Nel novembre del 2002 ragazzi e accompagnanti hanno pianificato la programmazione annuale per l’anno 2003 consultando tutti i ragazzi che partecipano alle attività nella casa.

Il coordinamento dei ragazzi si riunisce con quello degli accompagnanti nell’Assemblea di Cogestione in cui vengono prese le principali decisioni dell’associazione e si discutono i maggiori problemi. L’assemblea è l’organo decisionale del movimento dove ragazzi ed accompagnanti hanno diritto di parola e di voto.

Alla partecipazione diretta e paritaria nel movimento si aggiungono momenti di formazione specifica, un corso di educazione popolare, seminari di scambio con altre associazioni e progetti, sulla pedagogia e la teologia della liberazione, analisi socioeconomica.

Il Movimento ha iniziato un processo di organizzazione e coscientizzazione della gioventù di strada che, come tutti i processi, può avere dei periodi di crisi, di stallo e, al peggio, potrebbero essere fatti anche dei passi indietro. Ma sappiamo che il riscatto degli esclusi e la lotta per la liberazione dall’emarginazione è un processo lungo e nel quale solo il tempo potrà dire ciò che è stato. Finora si è andati avanti e si sono ottenuti indubbi risultati in termini di miglioramento della qualità della vita delle persone che partecipano ai programmi del progetto, penso che vi siano i presupposti per svolgere un lavoro ancora migliore nel futuro vista la crescente partecipazione dei  ragazzi e delle ragazze alla gestione del Movimento e una maggiore sistematizzazione dei programmi e delle attività”.

 

Lascio la parola di conclusione a Jeanneth Vileva, presdiente del coordinamento del movimento:

 

Cari amici della rete di amicizia,

spero che stiate bene. Vi scrivo per ringraziarvi per tutto ciò che fate per noi del movimento, avete realmente un grande cuore e grazie alla vostra generosa amicizia abbiamo realizzato molti dei nostri sogni. Voi siete convinti che noi, giovani della strada, siamo capaci di integrarci nella società, noi che abbiamo vissuto una vita molto dura e difficile.

Qui in Guatemala non c’è una istituzione che si dedichi veramente a lavorare con i giovani della strada e soprattutto, che  pensi che siamo capaci di riuscire nella vita e non considerarci come una spazzatura. . Io sono stata nella strada e sono riuscita ad uscirne grazie a persone che hanno avuto fiducia in me. Ora mi sento una madre degna di questo nome, e anche una persona degna di rispetto per ciò che sono. Questo mi spinge a lavorare con i ragazzi e le ragazze di strada perché vedano che è possibile integrarsi nella società. Con il movimento siamo riusciti a coordinare i giovani di strada. Abbiamo voce e voto in tutte le decisioni che si prendono e questo ci fa sentire importanti dentro la società. So che per gli accompagnatori l’inizio è stato difficile, dovevano adeguarsi a noi. Ci hanno aiutato molto.

Noi del coordinamento dei giovani, stiamo seguendo un corso di educazione popolare. Tutti i venerdì c’è una giornata “porte aperte”  e stiamo riuscendo a che partecipino circa 65 ragazzi/e di strada e pensiamo che questa sia un inizio per andare avanti  perché ai ragazzi/e piace il MoJoCa giacché possono esprimere quello che sentono come essere umani.  Quest’anno si   è fatta una  programmazione cercando di coprire le necessità primordiali dei ragazzi/e della strada. Abbiamo realizzato assemblee dei gruppi nella strada. Hanno avuto un buon esito. Tutti i gruppi sono più organizzati e conoscono gli obiettivi del movimento. Ora anche con il soggiorno di Gerardo si è riorganizzata la giunta direttiva e tutti i ragazzi/e che partecipano con assiduità al movimento sono socie e soci dell’associa-zione di fronte alla legge.Vi rendete conto, sono soci  ragazzi considerati dei ladri, che i poliziotti hanno voglia di sbattere in prigione ma ora sono legalmente soci del movimento! Che grande onore per i ragazzi/e sapere che sono presi in considerazione!

Io ho tentato di spiegarvi il significato del movimento per noi.  Per noi è importante che non finisca il nostro movimento. Per questo stiamo cercando di trovare auto-finanziamento  qui nel nostro paese anche se è molto difficile. Speriamo di farlo prima che finisca il progetto dell’Unione Europea, così potremo continuare lottando per noi stessi e organizzandoci per essere ascoltati nella nostra società.

 

MOVIMIENTO DE JÓVENES DE LA CALLE

 

13 calle 2-49 zona 1 Ciudad de Guatemala

tel.: 00502 2374425  e mail: movcalle@infovia.com.gt