LA SEDIA VUOTA DI GIOVANNI

 

Domenica 29 ottobre 2017.

Mt 22, 34-40

“Allora i farisei, avendo udito che Gesù aveva chiuso la bocca ai sadducèi, si riunirono insieme e uno di loro, un dottore della Legge, lo interrogò per metterlo alla prova…”

Gesù viene ancora una volta messo alla prova…

 

Tutti noi sappiamo e tra di noi più direttamente e profondamente sanno quelli che lo conobbero sin dai primi tempi, quando era ancora abate di S. Paolo, quanto e come anche Giovanni nel corso della sua vita è stato più volte messo duramente alla prova dai farisei e dai sadducei del nostro tempo senza che la sua scelta di fedeltà al vangelo ed il suo giudizio critico perdessero in tenacia, limpidità e trasparenza.

 

È la prima volta che venendo in comunità non trovo Giovanni. Non ho potuto essere presente alla celebrazione della sua “partenza”, durante la quale, con la voce di mio fratello Livio, ho avuto modo di ricordare con un breve scritto il lontano legame che mi legò profondamente a lui in giovinezza e non cessò mai nonostante la lontananza. Nel vedere vuoto il posto che occupava abitualmente, io credo fermamente nella sua presenza ancora qui tra noi. Per questo voglio condividere con voi questa mia riflessione.

 

Tra le vicende vissute dagli apostoli dopo la crocifissione e la morte di Gesù, giunte alla nostra conoscenza così come ci sono state narrate dagli evangelisti, l’unica esperienza sensibile più facilmente disponibile alla nostra comprensione è quella della scoperta del sepolcro vuoto. L’impatto concreto di questa constatazione dovette essere sconvolgente e determinante. Giovanni, parlando verosimilmente di sé stesso, riferisce: “Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette” (Gv 20, 8).

 

Il nostro Giovanni non è più visibilmente tra noi. Questa obiettivamente è l’unica esperienza sensibile certa che sperimentiamo. Apparentemente tutto quello che è rimasto di lui sono solo pochi grammi di cenere, atomi non più organizzati, disponibili, se dispersi, a ritrovare vita.

Come è stato per lui, anche noi tutti siamo composti di atomi non nostri, atomi che sono stati di tanti altri e saranno di tanti altri. Questo è quello che ci dice con certezza la nostra esperienza sensibile confermata ed affinata dalle conoscenze scientifiche: siamo, biologicamente parlando, frutto dell’interazione di atomi e con essi e tramite di essi parte di processi che producono, o meglio, trasformano energia.

Dobbiamo credere che tutta la nostra realtà personale, l’aggregato di atomi che ci compone, si esaurisca alla fine della nostra esistenza nei limiti di questa esperienza meravigliosa che chiamiamo vita? Che tutto di noi e di ciò che siamo stati sparirà e scomponendosi verrà semplicemente “riciclato” nel ciclo biologico che ci comprende? 

Eppure la nostra realtà, il nostro ciclo vitale, include anche i nostri gesti - le nostre azioni - i pensieri e le emozioni vissuti nell’intimo o espressi e trasmessi - le parole che abbiamo detto o lasciato scritte -  tutto ciò che abbiamo operato nella nostra vita: molte tra queste nostre manifestazioni, senz’altro la maggior parte e forse le più importanti, sono assolutamente immateriali e incorporee.

Dobbiamo obbligatoriamente credere che esse debbano rimanere del tutto ininfluenti sui processi e le interazioni che hanno coinvolto gli atomi che ci hanno composto? È del tutto inverosimile che l’energia che ci ha attraversato e che abbiamo trasformato con tutta la nostra vita - non solo quella biologica - possa conservare una traccia di ciò che siamo stati?

È o non è una forma di energia quella che possiamo generare anche con un solo gesto benefico, gratuito, partito da un moto dell’animo, magari ispirato e nato dall’azione dello Spirito? Quel singolo gesto, parte della nostra esperienza sensibile, è di fatto realmente rilevabile, è azione, è - perché no? - una forma di energia: certo un’energia che non è forse misurabile, almeno con gli strumenti di cui disponiamo, ma come escludere che possa essere capace di modificare la realtà?

Dove finirà dunque questa energia? Perché non pensarla comunque presente tra noi e lasciare che alimenti la nostra speranza, a maggior ragione proprio nei momenti bui che attraversiamo?

Può sembrare un non senso eppure proprio il sepolcro vuoto rese evidente agli occhi delle discepole e dei discepoli l’energia che Cristo aveva profuso con la sua scelta di testimoniare fino alle estreme conseguenze. Fu quell’esperienza sensibile a far scaturire e alimentare la loro fede in lui e a permettergli di continuare a viverlo per sempre presente tra di loro.

Possa il posto vuoto lasciato da Giovanni, riflettendo sulla sua testimonianza anche nello spirito di questa mia considerazione, al di là della concreta esperienza della sua mancanza, suscitare in noi effetti altrettanto proficui.

 

Leonardo Lucarini