memorie + Carlitos + 2006 luglio 21 - estratto dalla testimonianza di Gerardo
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Così muoiono i giovani di strada
La notizia della morte di Carlitos scoppiò all’alba del 15 luglio, un sabato, come un tuono terrificante in un cielo sereno. Sapevamo che era stato ospitalizzato, probabilmente per una overdose di solvente, però pensavamo si trattasse di una crisi passeggera dalla quale si sarebbe presto rimesso. Molti giovani di strada hanno vissuto questi episodi e non sono morti. La vigilia, presto in mattinata, amici del suo gruppo della Bolivar l’avevano accompagnato alla casa del MOJOCA. Vomitava, non riusciva a muoversi. Due responsabili l’hanno subito condotto al centro medico per bambini di strada di una istituzione internazionale ben nota. Il medico gli fece un’iniezione e dichiarò che non c’era nulla di grave, che Carlitos si sarebbe rimesso rapidamente e che faceva finta di stare male per attirare l’attenzione. Sconsigliò addirittura di prendere un taxi per tornare a casa. Purtroppo le accompagnatrici hanno dato fiducia al medico e sono tornate al mojoca in bus. Lì hanno adagiato Carlitos su una coperta e hanno chiesto a uno dei suoi amici di prendere cura di lui. Hanno poi accompagnato all’ospedale un altro ragazzo che stava male. Ma la condizione di Carlitos non migliorava e Mirna decise di condurlo in macchina in un ospedale. Anche lì i medici si dimostrarono irresponsabili e incompetenti. L’indomani, all’alba, Carlitos che passava le notti nella compagnia numerosa delle ragazze e ragazzi della Bolivar, è morto solo in un ospedale inospitale.
Era un ragazzo del MOJOCA
Carlos aveva 17 anni. Numerosi anni di istituzione che non avevano diminuito la sua gioia di vivere, la sua estroversione, la sua facilità di contatto e di amicizia. Tre giorni prima di morire, in un laboratorio di autoespressione della nostra scuola dell’amicizia, si era descritto nel modo seguente: “sono onesto, mi piace collaborare, sono sincero, sono uno studente, sono tollerante e amichevole, mi piace ascoltare la musica, fare le cose con amore, prendermi cura delle mie cose, mi piace partecipare”.
Alla Bolívar e nel MOJOCA, Carlos aveva trovato la sua casa.veniva da noi tutti i giorni, frequentava la scuola e terminava la 6ª elementare, non mancava una seduta del laboratorio di circo animato da due giovani belgi, Amaury e Sebastiano. Quasi tutti i giorni veniva nel mio ufficio, si sedeva, scambiava qualche parola, prima di riprendere le sue attività. Non ci rendevamo veramente conto del posto che occupava nella nostra felicità.
La separazione
E di colpo la disgrazia e la tristezza nel MOJOCA. Ci identificavamo con le urla disperate della sua compagna, Guadalupe, che ripeteva a non finire come una melopea funebre: “ NO! NO! NO! NOOOOO!”, “PERCHÈ, PERCHÈ, PERCHÈÈÈÈÈ!”.
Mano a mano che la notizia si diffondeva nella strada, i giovani affluivano nella casa. Ci siamo radunati per pregare, parlare di lui, piangere insieme. Le testimonianze, spesso troncate da singhiozzi disperati, facevano l’elogio di Carlos, amico fedele e gioioso.
Una cinquantina di giovani sono rimasti tutta la notte nella casa del MOJOCA, la sua casa, per vegliarlo. La sua ultima notte con la sua famiglia della strada. In Guatemala, i sarcofagi hanno una finestra che permette di guardare il volto del defunto. Mai dimenticherò la lunga processione delle ragazze e dei ragazzi che abbracciavano il sarcofago, contemplavano il viso di Carlitos, gli parlavano, gli chiedevano perchè se ne era andato, piangendo, singhiozzando, urlando di dolore. Come eri amato, Carlitos!
La domenica mattina la casa si è di nuovo riempita. Un ultimo addio e sei dei suoi compagni hanno caricato il sarcofago sulle loro spalle. Il corpo di Carlitos ha lasciato la sua casa. Al cimitero, ragazze e ragazzi, a turno l’hanno portato sulle spalle. Addii stressanti. Poi il silenzio. La solitudine. Il cimitero che si svuota lentamente. L’assemblea che si dissolve.
Abbiamo tante domande che rimarranno senza risposta: se i medici fossero stati più responsabili e più competenti, più rispettosi dei bambini di strada, Carlos non sarebbe ancora con noi? Se avesse avuto coscienza quando era vivo di tutto l’amore che si è manifestato dopo la sua morte, non avrebbe trovato in esso la forza per dominare meglio la droga?
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Gerardo