chi siamo - fotoreportage + la partecipazione + APPROFONDIMENTI + 2001 - l'amicizia con le ragazze e i ragazzi di strada trasforma le persone

 

Ne ho fatto l’esperienza, con loro ho ritrovato il senso della mia vita, i valori essenziali che si possono racchiudere nella parola “amicizia”.  E’ un’esperienza che ha sconvolto la vita delle  giovani donne ed uomini, studentesse e studenti di psicologia, che hanno condiviso la vita delle ragazze e dei ragazzi durante un mese delle loro vacanze. Le loro testimonianze, scritte, qualche settimana dopo il ritorno, sono dense di emozioni. Trascrivo i passi che mi sembrano più significativi.

 

Con loro stai in mezzo a veri amici

 

Dopo il primo impatto con gli aspetti più duri della strada,  ti accorgi che questi ragazzi/e hanno un coraggio, una voglia di vivere, di condurre una vita diversa che non credevi fosse possibile. Parlare con loro, stare con loro ti fa sentire in mezzo a dei veri amici. Amici che pur di dimostrarti il loro affetto ti regalano il loro unico  bracciale fatto di filo, che ridono sereni con te, che piangono commossi con te. Ho trascorso dei momenti indimenticabili, vissuto emozioni uniche,  ho trovato molti buoni amici che non dimenticherò mai.

Il giorno della mia partenza sono venuti a salutarmi all'aeroporto, non vi dico l'emozione di quando li ho visti scendere le scale tutti insieme, di quando mi hanno salutata con le lacrime agli occhi, riempiendomi le valigie di regali e lettere… Ritornerò, questa è una certezza come lo è il fatto che non abbandonerò mai, nemmeno dall'Italia, i miei cari amici del Guatemala.

Ora so di avere qualcosa di molto importante per cui vale la pena di impegnarmi. E con tutte le mie forze e la mia creatività mi voglio impegnare per il movimento delle ragazze e ragazzi di strada.

 Lucia Bruscuglia (1998)

 

Trasformare la mia tristezza in forza

 

Soltanto dopo il viaggio in Guatemala, ho capito perché Gerardo intitolava il suo libro “Principesse e sognatori nelle strade in Guatemala”. Le ragazze ed i ragazzi della “calle”, principesse e principi del sofferente e colorato Guatemala ,sono tutte e tutti dentro il mio cuore e la mia mente, i loro nomi, i loro sorrisi, le loro lacrime, le loro lotte e i loro occhi… occhioni scuri ed indifesi nonostante ostentassero di spavalderia.

 

E’ difficile uscire dalla strada, ma non è impossibile. Per crederci dobbiamo per un momento spogliarci dalla nostra mentalità occidentale, dimenticare le nostre affannose corse dietro il tempo, i nostri schemi mentali e il gratuito benessere e  calarci nella “calle” del Guatemala, sentirne l’odore, osservare... lottare!

    Sofia Cricchio (1999)

                                  

Sarei anch’io una ragazza di strada

 

Quando sono arrivata in Guatemala, certamente non era il periodo più sereno della mia vita: tanto stava cambiando in me e, tra mille contraddizioni, non capivo quale fosse il mio ruolo lì, come avrei potuto io stare con loro se avevo paura di stare con me stessa?    C’era stato detto che, attraverso l’amicizia ed un rapporto sincero, saremmo stati per loro un modello e attraverso un processo di identificazione, avremmo potuto dare loro la speranza di un’alternativa. Ebbene, sono stata io ad identificarmi con loro, li ho visti piangere e sorridere, gridare e cantare, litigare e sostenersi, drogarsi e consegnarmi il solvente; avevano oggettivato tutte le mie stesse debolezze, le mie contraddizioni, ma anche la forza ed il coraggio, unici mezzi per non lasciarsi schiacciare da una società che ti disprezza, che non si cura di te, da una vita sfortunata, perché sarei potuta nascere io lì e, se così fosse stato, quasi sicuramente sarei anch’io una ragazza di strada che lotta per la sua dignità.

 

Decidere di voler cambiare non è la cosa più difficile, faticoso è superare gli ostacoli, le tentazioni, scontrarsi con muri di gomma e non lasciarsi scoraggiare… Loro ce la mettono tutta, a noi chiedono solo di appoggiarli, di fare conoscere la loro realtà. A voi io chiedo solo di riflettere.

  Rosa Laiso (1999)

 

Impotenza e volontà di solidarietà

 

Lì in Guatemala mi è capitato di piangere due volte: la prima pensando alle giovanissime bambine che si prostituiscono e alla miseria dei loro clienti, la seconda guardando alla mia impotenza che è stato il peso più difficile da portare durante tutti i giorni trascorsi in strada. Si trattava della tristissima coscienza di sapere di non essere in grado di fare qualcosa di veramente importante per loro e di non riuscire a trovare un modo, se non quello di portarli tutti via con me, per dargli un motivo, una ragione per uscire dalla strada, per smettere di drogarsi e per cambiare vita. Quando le alternative sono così poche e così misere come quelle che si profilano ai loro occhi, sfiderei chiunque a crearsi dal niente, perché è veramente niente, una vita diversa e possibilmente migliore.

 

Da tutto ciò è nata la rabbia: verso uno stato che si disinteressa della parte più delicata della sua popolazione, verso i ricchi che, così abituati a tutto ciò che possiedono, non si accorgono della povertà altrui e che probabilmente neanche sanno dell’esistenza di zone nascoste della loro città dove i giovani di strada si riuniscono e infine rabbia anche verso me stessa, ora che, tornata a casa, mi sento profondamente rassicurata dalla mia tranquilla normalità.

     Laura Corona (1999)

 

Una delle esperienze più forti della mia esistenza

 

I quaranta giorni trascorsi  fra le ragazze e i ragazzi di strada in Guatemala sono stati una delle esperienze più forti e formative di tutta la mia vita. Il primo impatto è stato sconvolgente: ci si trova di fronte ad una realtà, talmente dura e diversa dalla nostra, da rimanerne completamente disorientati. E’ difficile per noi ragazzi occidentali cresciuti in una famiglia, circondati di affetto e soddisfatti in ogni minima necessità e bisogno immaginare cosa possa significare vivere in strada senza nessuno che si occupi di te, che ti aiuti e protegga in caso di bisogno. 

 

Non si può non provare rabbia, indignazione e vergogna e non si possono chiudere gli occhi facendo finta di non sapere; certo non possiamo cambiare come vorremmo la situazione di questo Paese così povero e sfortunato, ma questo non può essere uno scudo per l’indifferenza. Mi considero fortunata perché ho avuto questa grande opportunità di conoscerli e vedere con i miei occhi e sentire quanta ricchezza, dignità e coraggio ci sono in loro.   Ora più che mai sono convinta e consapevole che hanno bisogno di tutto il nostro aiuto e di tutto il nostro appoggio affinché continuino a trovare la forza di lottare non solo per sopravvivere ma per conquistare la vita che si meritano.

     Tiziana Agabiti (1999)

 

In mezzo a loro mi sono sentita a mio agio

 

Stare in mezzo a loro non è difficile; quando ti conoscono, sanno che non vuoi fare loro del male, ti accolgono con affetto. Io non gli portavo nulla oltre a me stessa, eppure anche solo questo sembrava riempirli di gioia. Una visita nel posto in cui vivono, un po’ di tempo passato con loro e solo per questo già ti amano. Spesso ci vedevano da lontano e dopo averci riconosciuto ci si lanciavano incontro, pieni di affetto, sono sciolti e spontanei. Io per carattere ho molta difficoltà a lasciarmi andare con le persone che non conosco, eppure in mezzo a loro, nonostante le molteplici diversità fisiche, cultuali, sociali o religiose, mi sentivo veramente a mio agio, serena, tranquilla e soprattutto libera dalla paura d’essere giudicata che spesso vivo. Riuscivano ad amarmi per quella che sono, senza pormi domande specifiche, io ero lì ed era bello stare insieme.

 

Io non so se è l’unico modo, ma di certo il movimento può fare tanto per loro. Lì possono trovare amore e rispetto e sostegno non solo alle loro necessità di sussistenza ma anche a quelle di persone.   Al movimento si svolgono corsi di alfabetizzazione, in un Paese in cui il tasso di analfabetismo è altissimo e in cui l’ignoranza permette loro di continuare a trascinarsi nella miseria materiale ed umana. Lì passano delle ore, liberi dal solvente, con la possibilità di riflettere sulla loro condizione, di confrontarsi e ritrovarsi con gli stessi problemi, di stringersi nella solidarietà.

Vanessa D’Anselmi (1999)

 

Ormai fanno parte della mia vita

 

Dopo qualche giorno, andando a trovare le ragazze e ragazzi del parco Centrale, con i quali facevo una ricerca, provavo la stessa sensazione che ho a Roma quando mi riunisco con gli amici. Loro si sentono sicuramente benvoluti da noi e ricambiano. Io provo emozioni contrastanti: mi sento felice e contemporaneamente triste e soprattutto indignata nel vedere come questi ragazzi sono costretti a vivere. Sono esattamente come me, hanno la mia stessa voglia di vivere, provano le mie stesse emozioni e soprattutto hanno una grande intelligenza che è quella che gli permette di sopravvivere in una situazione precaria e pericolosissima come quella in cui si trovano quotidianamente.

 

Il lavoro del movimento è molto duro, difficile, ma anche molto arricchente, sono orgogliosa di farne parte, sento come poche volte in vita mia - la netta sensazione di stare nel giusto e la forte voglia di andare avanti.

  Loretta Cavazzini  (2000)

 

Un’esperienza molto formativa

 

Ritengo che un’esperienza come questa sia estremamente arricchente… come futura psicologa dello sviluppo, ho avuto la possibilità di misurarmi con strumenti educativi, teorie e pratiche pedagogiche, modalità di ascolto e risoluzione dei conflitti, metodologie di ricerca ecc. che hanno ampliato le mie competenze. Credo che per ogni studente e studentessa di psicologia, sia fondamentale fare delle esperienze di questo tipo che permetto di conoscere sul campo i mille mondi dell’intervento psicologico. Concetti quali “empatia”, “sviluppo della personalità”, “osservazione” , “metodologia di ricerca qualitativa” ecc.  acquistano corpo e sostanza e veramente permettono di affacciarsi a quello che domani potrebbe essere uno dei campi della scelta professionale.

 

Il confronto con il mondo dei giovani di strada e con il loro movimento è stato lo strumento principale, attraverso il quale mi è stato permesso di addentrarmi in maniera approfondita in una delle componenti sociali per me più significative del  Paese. Al di là dell’aspetto emotivo, i giovani di strada, attraverso le loro storie, il loro lavorare e confrontarsi con noi, mi hanno decisamente regalato un’esperienza indescrivibile. Loro, con tutta la loro dignità, mi hanno permesso di comprendere quanto è alto il costo della vita in un Paese che nega e calpesta i diritti fondamentali della persona.

   Francesca Diamanti (2000)

 

Cosa ho fatto per ricevere tanta fiducia?

 

Durante il soggiorno in Guatemala, spesso mi è capitato di pensare al modo in cui avrei potuto bloccare il tempo, rubare gli attimi e i momenti, chiuderli in uno scrigno e riportarli con me in Italia! Dopo poco ho capito che tutto ciò non sarebbe mai stato possibile, che i ricordi e le sensazioni provate nel lavorare con i ragazzi, nel condividere con loro gioie e dolori, paure e ribellioni, non si sarebbero mai più materializzati davanti ai miei occhi.

Le immagini di quello che è il Guatemala con le sue mille contraddizioni, di quello che sono i ragazzi con i loro sorrisi e la loro voglia, “nonostante tutto”, di andare avanti credendo nella forza dei deboli, è impressa nella mia memoria.

Voglio testimoniare tutta la positività che questo viaggio mi ha donato: perché parlare di tristezza, quando con i ragazzi abbiamo riso e scherzato tutto il tempo; perché parlare di menefreghismo, se i ragazzi hanno partecipato con serietà ed impegno; perché parlare di apatia, se i ragazzi hanno proposto e criticato; ed infine perché sottolineare il degrado e la miseria …se questo popolo e questo Paese non sono solo questo? Il Guatemala non mi ha lasciato orrore e pietà , ma mi ha lasciato le facce delle persone che ho conosciuto e che mi hanno affidato i racconti delle loro storie di vita. Chi sono io per possedere tutta questa ricchezza… cosa ho fatto per ricevere così tanta fiducia…….forse ho semplicemente creduto in loro e nella loro amicizia!

   Nadia Izzo (2000)

 

Sono più debole di loro

 

Io vengo da Taranto, prototipo di città del sud con tutti i problemi di disoccupazione, microcriminalità, droga, corruzione,  famiglie  disgregate, i bambini lasciano spesso la scuola, passano la maggior parte del tempo in strada. Perché  andare così lontano per guardare in faccia situazioni che ci sono anche qui, che sono anche tue, fa inizialmente meno male, perché sei meno coinvolta, perché c’è l’illusione che sia altro da te, diverso. Perché il Guatemala te le sbatte in faccia violenza, povertà estrema, non rispetto dei diritti umani, le forti contraddizioni e conflittualità sociali politiche, economiche di una economia mondiale neo-liberale basata sulla globalizzazione dei mercati (…).

Ragazze come Las Quetzalitas , uscite dalla strada, che hanno scelto se stesse la via dell’indipendenza. Hanno avuto la forza e il coraggio di sfidare la cultura imperante, di lasciare il proprio uomo spesso violento, il coraggio di organizzarsi in gruppi di auto-aiuto e proseguire un cammino di coscientizzazione. Sono donne giovani che si assumono con responsabilità il compito di allevare ed educare i propri figli, non hanno qualifiche o titoli di studio e hanno lavori precari in fabbriche dove lavorano per dieci ore al giorno.

Mi sono specchiata in loro e riconosciuta: le loro difficoltà a prendere in mano la propria vita, il timore di affermare la propria dignità e il proprio valore, la paura di riuscire ad abbandonare storie e relazioni fatte di violenza e umiliazione, la loro incapacità di capire che possono farcela da sole, e che possono essere indipendenti, fare a meno di un uomo al loro fianco.   Mi sono sentita debole al loro confronto.

 Carmen Rizzitelli (2000)

 

Il Guatemala non ha dato risposte alle mie domande

 

Tre anni trascorsi tra seminari ed incontri di approfondimento, mi hanno permesso di maturare, giorno dopo giorno, l’idea e il desiderio di un viaggio in Guatemala, desiderio che rispondeva alla pressante esigenza di andare oltre quella che è la mia realtà, la mia gente, i miei problemi, di conoscere e prendere consapevolezza di tutto quello di cui avevo sentito parlare, e forse…di trovare lì delle risposte alle mie domande…

 

Il Guatemala non ha affatto dato delle risposte alle mie domande, al contrario me ne ha poste mille altre, con le quali ogni giorno e con grande sforzo cerco di relazionarmi. Conoscere la strada nelle sue mille e contraddittorie sfaccettature, stabilire dei rapporti con i ragazzi, cercare di riuscire a penetrare un po’ il loro mondo, condividere con loro i più semplici momenti del vivere quotidiano, mi ha fatto tornare ad apprezzare l’importanza delle piccole cose, mi ha fatto riflettere su cosa significa aver avuto la sola sfortuna di nascere in un Paese sbagliato, mi ha fatto pensare a quelle che sono le nostre responsabilità. .. Vorrei che il tempo mi aiutasse a elaborare giorno dopo giorno l’esperienza che ho vissuto, a maturare la consapevolezza delle profonde ingiustizie di cui quotidianamente i miei coetanei ed ora anche amici sono vittime.

    Sonia Tartaglia (2000)

 

Cresce la voglia di scrivere e di parlare

 

Il dopo Guatemala è fatto di immagini che si confondono e si inseguono e dallo sforzo di trovare un ordine. E’ fatto delle tante parole che affollano le storie di chi ha voluto e ha accettato di raccontare. E’ fatto dei volti, l’energia, i sorrisi dei ragazzi di strada che abbiamo incontrato e che ci hanno salutato, abbracciato, che hanno lavorato con noi, come fosse normale e scontato sorridere, scherzare, abbracciare persone lontanissime, che lontanissimo abitano e vivono e lontanissimo hanno i loro problemi, così diversi. Il dopo Guatemala è fatto di tristezza al ricordo degli stessi ragazzi, la mattina, che dormono su panchine o pezzi di strada, o che spuntano da un tetto improvvisato di nylon; tristezza perché li vedi insieme, scherzare e aiutarsi, e un secondo dopo litigare e menarsi per una goccia di solvente, e poi ancora cercarsi e darsi consigli.

Il dopo Guatemala è l’incredulità e lo sconcerto per aver girato tra le baracche ammassate dei quartieri più poveri, è il silenzio che si cerca dopo aver sfiorato una quotidianità insopportabile. E’ l’orgoglio delle piramidi Maya, simbolo di un popolo che ancora esiste e resiste, nonostante i secoli di oppressione e di massacri, nonostante la paura che immobilizza e un ricordo troppo recente per poter parlare al passato.

 

Cresce la voglia di scrivere, e la certezza che la cosa più giusta sia, bene o male, parlare; perché il dopo Guatemala è anche fatto di momenti in cui ancora si respira forte la possibilità e la voglia grande di una politica libera dai vincoli e dai paletti a cui ci ha abituato la politica italiana e quella europea. Una politica non solo brava nel cercare tattiche e trucchi per prendere il potere ed arginare il peggio, ma in grado di far sperare e di riscattare, in grado di riflettere e mettere in discussione il senso stesso del potere e dei meccanismi che lo reggono. Momenti che sono maturati e si sono già vissuti tra i ragazzi di strada e con il sogno del “movimiento de jovenes de la calle”. Il sogno di un gruppo fra i più emarginati e disprezzati, il sogno che i più deboli trovino la forza e il coraggio per capire e parlare della propria condizione, del perché la libertà di scelta sia sempre fra alternative di emarginazione, sporcizia e ingiustizie. Il sogno che trovino la possibilità di organizzarsi fra deboli, non per vincere e diventare forti, ma per convincere dei propri diritti e delle proprie ragioni.

 Luigi  Verducci (2000)